Testa bassa e pedalare!

Rolando Maran alla ricerca dell'equilibrio perduto

Rolando Maran alla ricerca dell'equilibrio perduto 

Il commento di Max Licari propone una triplice chiave di lettura in merito alla terza sconfitta consecutiva subita dai rossazzurri a Livorno: "resettare" il passato, trovare il giusto assetto tattico, aiutare i nuovi a inserirsi correttamente nell'ambiente rossazzurro. Con un'avvertenza: evitare giudizi troppo frettolosi...

Parola d’ordine: “resettare”
Non capitava dalla sfortunata “Era Atzori” che il Catania cominciasse il campionato con tre sconfitte consecutive. E se in tre gare non guadagni nemmeno un punto, segni un gol e ne prendi sette, è ovvio che ci siano problematiche contingenti che vanno assolutamente risolte, in quanto “il tempo passa in fretta”, come cantava Alan Sorrenti, e vanno incamerati punti per cominciare la marcia di avvicinamento alla salvezza. Sì, la salvezza, unico obiettivo stagionale, così come da prammatica. Lo sottolineo, perché già qualcuno a inizio campionato ha cominciato a insinuare, suggerire, soffiare, zufolare, fomentare, “pretendendo” qualcosa che nessuna formazione che non sia compresa nel novero delle sei o sette società italiane finanziariamente più strutturate può ragionevolmente promettere: l’Europa. Non lo può fare l’Udinese, che la raggiunge puntualmente al termine di ogni torneo, non lo può fare il Parma, il Torino o il Catania. I rossazzurri dovranno raggiungere questo enorme obiettivo, perché per società che devono stare attente al bilancio si tratta dii un grandissimo traguardo, in qualunque modo, “in carrozza” o soffrendo, ma “devono” raggiungerlo. Proprio per questo motivo, a differenza di quanto visto nella gara d’esordio a Firenze, il Catania delle ultime due partite non mi è piaciuto. Non mi è sembrata, dal punto di vista della concentrazione, della grinta, dell’attenzione, dell’umiltà, una formazione, scusando il brutto neologismo, “mentalizzata” sull’obiettivo. E a questa problematica va posto rimedio immediatamente, allenatore e società in primis. Inoltre, se con l’Inter poteva essere presa in considerazione in maniera seria l’attenuante “mercato” e tutto l’ambaradan che ne è conseguito, a Livorno le scusanti, sotto il profilo della concentrazione, appaiono meno consistenti. La realtà è che il Livorno, compagine (lo sottolineo con forza) assai inferiore tecnicamente, ha giocato “da salvezza”, gli etnei no. E non dovrà più accadere. Non ce lo possiamo permettere. Da Capitan Spolli, a mio parere il migliore del Catania al “Picchi”, all’ultimo ragazzo della “rosa” bisognerà resettare il software e ripartire. L’attualità è diversa da qualche mese fa. L’ottavo posto è archiviato, è storia incancellabile. È il passato. Il presente è l’ultimo posto, zero punti. Testa bassa e pedalare, con umiltà. Perché considero vero, anzi ne ho la quasi matematica certezza, quello che dice il presidente Pulvirenti (“Questo Catania può fare risultato con qualunque avversario, ci vuole calma e pazienza”); ma è altrettanto vero che, senza umiltà e olio di gomito, questo Catania può perdere con chiunque, e il match di Livorno ne è la palese dimostrazione, considerato che quello amaranto, a mio parere, è uno degli organici meno attrezzati della Serie A.

Partita equilibrata, errori fatali
I labronici di mister Nicola, consapevoli dei propri limiti, si sono messi dietro in 11 a randellare, raddoppiare, sparare “ad muzzum”, come deve fare una squadra destinata a lottare con il coltello fra i denti fino all’ultima giornata. Non solo, hanno avuto la fortuna di trovare un portiere in grande giornata, il promettentissimo Bardi, cui ha fatto da contraltare la giornata nera di un Andujar sorprendentemente “falloso”. La differenza è stata tutta lì: bastone, voglia di lottare, sacrificio tattico e un pizzico di fortuna contro una complessiva lentezza, una buona dose di disattenzione e l’immancabile batosta della Dea Bendata: quando le cose devono andare male, anche la Fortuna ti abbandona. Così, nell’ambito di un primo tempo giocato in costante possesso palla, i rossazzurri ti falliscono un’occasione importante in avvio con Spolli e una palla decisiva a fine frazione con Bergessio, contestualmente rischiando di andare sotto sull’unica palla concessa a Emeghara dalla prima incertezza di giornata di Andujar (splendido il salvataggio di tacco di Spolli sulla linea). Poi, nella ripresa, continuando con l’approccio “compassato” dei primi 45’, il portiere amaranto ti fa la parata del millennio (incredibile il riflesso di Bardi sul tiro di Plasil deviato da Bergessio), becchi gol sull’unica ripartenza decente del tuo avversario (difesa assolutamente ferma sulla battuta di Paulinho) e successivamente regali il raddoppio allo stesso attaccante brasiliano con il secondo errore in uscita di Andujar, ben “supportato”, nel caso, da un Bellusci in giornata assai negativa. È chiaro che, in tal modo, le negatività te le vai a cercare; è chiaro che poi Bergessio ti becchi la traversa con una rovesciata degna del miglior Parola; è chiaro che anche con 320 attaccanti in campo non cavi un ragno dal buco. Insomma, una giornata storta in tutti i sensi. Eppure, le scelte iniziali di Maran erano parse logiche. I quindici giorni avuti a disposizione per aggiustare le cose sembravano sufficienti a presentare opzioni più legate allo stato di forma dei giocatori. Perciò, Biraghi (buono il suo esordio sulla corsia mancina, ci si può lavorare sopra), Plasil e Castro (al posto di Leto) dal primo minuto, Bellusci al centro e Tatchsidis davanti alla difesa potevano far pensare a una situazione migliore sotto il punto di vista della condizione. In realtà, soprattutto a centrocampo, il Catania è parso indietro. Troppo lento e compassato, anche al cospetto degli Schiattarella, dei Greco, dei Luci, dell’ex Biagianti (non sembrato nelle ultime stagioni un fulmine di guerra), tutta gente non ascrivibile al top della categoria. Il problema principale è lì. Sergio e il greco sembrano lontani da una condizione accettabile, mostrano un gap fisico nei confronti dei dirimpettai che va al più presto colmato o con un miglioramento visibile sotto il profilo atletico o con scelte diverse. In Serie A non ti puoi permettere di andare alla metà della velocità degli avversari, nemmeno se sono tecnicamente inferiori come in questo caso. Meglio il debuttante nazionale ceco Plasil (calato anche lui alla distanza, ma ovviamente…), sebbene proveniente da due partite con la propria nazionale. Anche in avanti, seppure Castro abbia prodotto un discreto inizio di match e Barrientos l’unica “accensione” della serata (l’assist a Bergessio nel primo tempo), si è tirato poco. Da elogiare, come al solito, il gran lavoro fisico del “lavandina”, uno che anche quando non segna fa sempre il suo. Inutile, a mio parere, l’affollamento di attaccanti nella seconda metà della ripresa (Leto, Maxi e Bergessio tutti insieme appassionatamente).

Alla ricerca dell’assetto giusto
La verità è che Maran deve ancora trovare l’assetto giusto, un assetto diverso rispetto alla scorsa stagione perché diversi sono alcuni giocatori in ruoli chiave. E lo deve fare presto. Nel postpartita il tecnico ha dichiarato che avrà finalmente a disposizione una settimana in cui lavorare con tutti i propri giocatori. Vedremo. Dovrà essere lui a sistemare le cose, avendone tutte le possibilità. Intanto, mi pare presto per trovare capri espiatori o trinciare giudizi definitivi su questo o quel giocatore. Mi riferisco, in particolare, a Tatchsidis. È un giocatore che prima che venisse a Catania consideravo forte. Vedendolo in queste tre partite ci sarebbe da rivedere il giudizio, perché obiettivamente non ha fatto bene. Ma ricordo che a Verona partì più o meno così per poi vincere a fine stagione il premio di miglior centrocampista della cadetteria. Quindi, io attenderei. Ma deve essere lui a fugare i dubbi e dimostrare, sul campo, di essere da Catania. Le parole non servono, servono i fatti. L’impressione è che tutti questi nuovi elementi, oltre che amalgamarsi dal punto di vista tattico, debbano trovare ancora la condizione. Leto e il greco soprattutto. Solo allora si potranno dare giudizi un po’ più strutturati.

Gli opposti non si attraggono..
Leggendo qua e là, spigolando qui e lì, come sempre quando le cose non vanno bene ti ritrovi a confrontarti con giudizi contraddittori, legati unicamente al risultato, addirittura all’umore del momento. Nel giro di una settimana ho letto gli stessi inveire contro Pulvirenti che “si stava vendendo anche i piedi dei tavolini”, beatificarlo come il Santiago Bernabeu dell’Etna e quindi nuovamente additarlo di tutti i mali del sistema solare dopo le tre sconfitte consecutive. Al suo arrivo, Monzon è Roberto Carlos, oggi è il Di Cunzolo del 2000. Tatchsidis, nazionale greco (farà i prossimi mondiali in Brasile) è irrimediabilmente un brocco dopo tre partite. Capitolo Andujar: due settimane fa ci si esaltava per la prova offerta contro la Nazionale italiana a Roma; qualche giorno fa ci si incazzava di brutto per la sua mancata titolarità nelle partite di qualificazione ai mondiali dell’Albiceleste a favore del non irresistibile ex doriano Romero; oggi lo si vorrebbe alla Cayenna per gli errori commessi a Livorno. Oggi non è buono “nemmeno per la B”. Il grande campionato scorso,in cui fu unanimemente considerato fra i portieri più affidabili della massima categoria, obliato, cancellato, resettato, spazzato via dal fumo aneuronale degli ondivaghi contorsionismi internettiani. Ma la cosa potenzialmente più pericolosa è l’improvviso fiorire del cosiddetto “laudator temporis acti”, cioè del nostalgico che si strappa i capelli (a volte anche strumentalmente) per coloro che non ci sono più. “A quantu era bellu du Lodi, u viristi chi gol fici cco Genoa?”; “Ma picchì, Macchese non era u meggiu tezzinu da A?”; “Senza Gomez, Barrientos non sa a chi passare la palla!”; “Ma picchi ni vinnemu Biagianti, u viristi ca cco Livonno n’abbattiu?”. Questa è l’unica cosa, credetemi, che potrebbe portare reale nocumento al Catania in questa stagione. Così come per i dirigenti, i giocatori passano, è nella naturalità delle cose. E quando passano, passano. Buoni o meno, ci si rimbocca le maniche e si ricomincia con altri protagonisti, aiutandoli a inserirsi in un nuovo ambiente. Chi non indossa più quella magica casacca rossazzurra va rispettato, ma letteralmente sparisce dall’orizzonte del tifoso vero. Che cosa può interessarmi, da innamorato del Catania, se un dirigente che ha fatto bene passa a un’altra società e vince lo scudetto o la Champions League o la Coppa del Nonno? Ai tifosi della Samp interessa qualcosa che Marotta stia ottenendo grandi successi alla Juve o non gliene frega una beata cippa? E se Lodi fa 30 gol con il Genoa e viene convocato in Nazionale? Nulla. Può farmi piacere per lui (e me ne farebbe, personalmente), ma tutto finisce lì. E ditemi, come stiamo aiutando questi ragazzi nuovi a inserirsi nel nostro ambiente? Dicendo a uno che è buono per smontare le cabine, all’altro che non è nemmeno da B e via dicendo? Stiamo aiutando Maran a fare scelte tranquille, dicendogli che è un tecnico “fortunato” perché ereditava il lavoro di Montella? A uno che l’anno scorso, mettendoci molto del suo, ha prodotto il miglior risultato di tutti i tempi? Dopo TRE PARTITE??? Io ricordo che dissi pubblicamente come ritenessi Izco “non da Catania” e Marchese “inadeguato alla categoria”. Ditemi, che “malacumpassa” ho fatto? Eppure erano trascorse mooooooolte, ma mooooooolte più partite rispetto alle tre di adesso, pensavo ragionevolmente di potermi sbilanciare. Tuttavia, il Calcio non è una scienza esatta… La storia dovrebbe insegnare a vivere in maniera più equilibrata le vicende positive come quelle negative. Ma forse è chiedere troppo. I vecchi sono andati, adesso ci sono i nuovi. Questi ragazzi indossano la maglia del Catania e questi vanno aiutati. Non “sdirupati”, aiutati, che non significa “adulati”, “non criticati”, perché le cose da dire devono essere dette. E mi sembra che un po’ tutti siamo espliciti nell’evidenziare le attuali problematiche. Ma in funzione di un “miglioramento” complessivo, non di una autogratificazione da asino, tipica del nostro meschino individualismo d’accatto, la soddisfazione da coglione di poter dire: “Ah, vi ll’ava rittu, semu troppu scassi, a società è pessa, semu ‘nda B”! Una società che in questi otto anni ti ha fatto vedere tutto il calcio da Serie A che non avevi visto in tutta la tua vita da “pseudoeroe dei campi polverosi”. Questa soddisfazione la lasciamo ai poveri d’animo, a noi che abbiamo cominciato questa avventura quando il Catania NON era in A, interessa che il Catania RIMANGA in A, in tutti i modi legittimi possibili. E se lo farà alla grande come l’anno scorso saremo felicissimi; se lo farà soffrendo maledettamente fino all’ultima giornata, saremo contenti ugualmente. Perché il vero tifoso si riconosce quando c’è da sostenere nei periodi di carestia, non quando vi è da salire sul beatificante carro del vincitore… Piuttosto, cerchiamo di riempire il “Massimino” per la partita contro il Parma, quella sì importantissima. Questo conta, il sostegno nel momento della necessità, della difficoltà, quando vi è da incontrare gente pericolosa come Amauri e Cassano, non i sofismi da intellettuali calcistici da strapazzo. Let’s go, Liotru, let’s go!