Legrottaglie: 'Calcio, valori e altre storie'

Nicola Legrottaglie

Nicola Legrottaglie 

Nicola Legrottaglie, difensore del Catania, in esclusiva per Rivista Sportiva ripercorre la sua carriera e parla di calcio, valori e sport.

Nicola Legrottaglie, classe 1976, una lunga carriera passata a sgomitare con gli attaccanti avversari ed equamente distribuita tra provincia e grande calcio: difensore di sostanza e personaggio informale all’interno del mondo del calcio per la sua profonda fede di cui spesso si è parlato, dopo gli esordi nel Chievo ‘dei miracoli’ (stagione 2001) arriva per lui il salto nella Juventus, una big del calcio, nella quale milita in tutto otto stagioni con gli intermezzi di un paio di prestiti (Bologna e Siena).

Nel suo curriculum anche una breve parentesi al Milan, dove arriva nel gennaio 2011 e rimane sei mesi collezionando una sola presenza, giusto in tempo per festeggiare lo scudetto con la squadra rossonera. Nell’estate dello stesso anno decide di ripartire dal Catania dopo aver sfiorato l’idea di smettere e dedicarsi ad altro; in un lungo e piacevole colloquio ripercorriamo le tappe della sua carriera e della sua vita. Non solo calcistica.

Nicola, iniziamo dall’attualità e dal Catania: quando e come è nata questa opportunità?

“Sono molto contento di essere venuto qui a Catania anche se il trasferimento è avvenuto in modo un po’ particolare; fino al 24 agosto infatti, non avevo ricevuto alcuna telefonata e dentro di me era iniziata a farsi viva anche l’idea di smettere. Poi è arrivata questa proposta del Catania e ho accettato subito, perchè nel momento in cui ti propongono di giocare ancora e di continuare a fare quello che ti piace, non puoi dire di no. Per cui non ho resistito e ho deciso di continuare a giocare e l'ho fatto con tutta la volontà, perché avevo voglia di rimettermi in discussione. Se non avessi avuto questa voglia, sicuramente avrei rifiutato l’offerta.”

Come ti trovi a Catania?

“Mi trovo bene; è chiaro che ero abituato a certi livelli, a piazze più grandi. Catania è un’altra realtà, più piccola, e necessariamente ti devi abituare ed adeguare. Però nel suo piccolo Catania è una realtà con prospettive importanti.”

Parlando degli inizi della tua carriera, hai esordito in serie A nella stagione 2001/2002 con la maglia del Chievo dei miracoli: che ricordi hai di quel periodo e di quella squadra?

“È stato un evento storico per tutto il calcio italiano, non solo per Verona, perché per la prima volta c’è stata una squadra di provincia che è salita agli onori della cronaca; ricordo ad esempio che arrivavano spesso televisioni dall’ America, dal Giappone ecc… per raccontare quella favola calcistica. Credo che l’aver fatto parte di quella squadra sia stata una grande fortuna per me; ho cavalcato l’onda e da lì sono arrivato al grande calcio."

Cosa è stato per te il Chievo?

"In virtù di quello che dicevo, il Chievo è stato e resterà sempre la squadra che mi ha fatto fare il grande salto di qualità.”

A questo riguardo, nell’estate del 2003 arriva il trasferimento alla Juventus, un grande club: come hai vissuto quel passaggio da una realtà piccola ad una così grande?

“Giocare in una grande squadra come la Juventus ha molte cose diverse rispetto ad una piccola realtà; le pressioni sono maggiori, le aspettative e rendimento non possono essere uguali a quello di una realtà minore, ti criticano al primo errore e sei giudicato diversamente rispetto a quando giochi in una piccola squadra. In sostanza aumenta la visibilità e la responsabilità. E se non sei preparato, rischi di prendere delle cantonate. Questo è quanto ho appreso sin da subito con l’approccio ad un grande club come la Juventus.”

Dopo i prestiti a Bologna e Siena sei tornato nuovamente a Torino per poi approdare, seppur di sfuggita, in un’altra grande d’Italia: il Milan. Guardandoti indietro, credi di aver ottenuto in carriera tutto quello che volevi o ti manca qualcosa?

“Beh otto anni alla Juve, il Milan, la Nazionale, posso dire di aver visto il top del calcio. Ho avuto la fortuna di giocare anche a Wembley la partita Brasile – Italia (febbraio 2009, 2 a 0 per il Brasile, ndr), con lo stadio pieno, quindi ho realmente toccato il top del calcio. Però allo stesso tempo dico che non è stato questo a cambiare la mia vita. La mia vita non è stata cambiata dal calcio anche perché il calcio è una cosa momentanea; oggi ci sei, domani non ci sei più e la gente si dimentica in fretta del passato. La mia vita è cambiata con un’altra esperienza.”

Ti riferisci alla religione?

“Mi riferisco alla fede; non alla religione, perché la religione non salva nessuno. Le religioni sono chiacchiere, non servono a niente e non ti fanno arrivare a Gesù, che invece è una persona che impari a conoscere; è un incontro molto intimo e questo ti cambia la vita.”

Questo tua inclinazione verso la fede è piuttosto nota: come e da dove è nata?

“È nata riflettendo sulla vita, sulla morte, sull’ eternità e sul perché di tante cose. Ho iniziato a riflettere e a pensare che la vita non è quello che tanti pensano, cioè raggiungere un obiettivo lavorativo, sentimentale ecc… queste sono indubbiamente cose importanti, fanno parte della vita ma non sono la vita vera.”

Cos’è per te la vita vera?

“La vita vera inizia quando inizi a conoscere Gesù. Nel mio caso, è stato un rapporto che è partito da qualcosa che mi mancava, allora ho iniziato a ricercarlo; come quando uno va a ricercare un tesoro, inizia a scavare. Io ho iniziato a scavare e mi sono accorto che questo Dio esiste, vive, non è solo una favola ma un qualcosa di vero. Il mio modello di vita rimane lui e di lì è cambiata la mia vita.”

Sei mai stato bersaglio di battute o prese in giro, magari anche in campo da parte di qualche tuo collega, per questa scelta di fede?

“Ma sicuramente si, chissà quanta gente mi avrà preso in giro; ma non ho mai dato troppo peso a quello di negativo intorno a me. Cerco di guardare maggiormente le cose positive. Le persone che criticano stanno male con la loro anima, stanno male loro stesse e non sanno dove appoggiarsi. D’altronde hanno ammazzato Gesù, figuriamoci se non possono criticare un essere umano come me.”

Quindi queste battute non ti hanno mai scalfito?

“No, come dicevo non ho mai dato retta a tutti quelli che mi hanno criticato; anzi ho sempre pregato per quelli che hanno gli occhi velati e non vedono.”

E' demagico affermare che tutto ciò che ruota intorno al mondo del calcio è quanto di più lontano dai valori di fede e spirito e, viceversa, rappresenta il top del materialismo?

“Come tutti i settori c’è il bello ed il marcio; vale anche per il mondo del calcio. Ci sono i valori belli e sani, e poi c’è un’altra parte, la più corposa, che è quella legata a soldi, successo e potere. Tutti fattori che possono distruggere l’essere umano. Ma, come dicevo, anche negli altri settori della società si trovano le medesime situazioni; quindi al di là del calcio, il discorso oggi è un po’ diffuso in tutta la società.”

Quindi pensi anche tu, come molti, che ci sia una mancanza di valori nella società contemporanea?

“Senza dubbio: si parla di crisi economica, ma la crisi economica non c’è, è causata da altro. È arrivata proprio perché prima c’è stata una crisi di valori, la quale ha portato come effetto ad una crisi economica. Il problema più grande di oggi è proprio la mancanza di valori, ed il relativismo che impera nella società. Società dove tutto va bene, dove all’improvviso esce fuori qualcuno e si inventa una teoria nuova e tutti seguono quella teoria anziché inseguire i valori giusti, che sono quelli di Dio.”

Torniamo a parlare di calcio: nella tua carriera hai avuto diversi allenatori, da Del Neri a Lippi passando per Capello e Ranieri ecc. Chi ti ha insegnato di più?

“Non saprei dire uno più degli altri, ognuno mi ha lasciato qualcosa sotto diversi punti di vista. Probabilmente a livello tecnico – tattico, Del Neri è stato quello che mi ha insegnato di più: parlo proprio come insegnante di calcio. Ecco, da quel punto di vista lui mi ha dato qualcosa in più.”

E il compagno più forte con cui hai giocato?

“Da difensore dico che, quando stava al top, il più forte è stato Nesta; il migliore in tutto. Poi dico Ibrahimovic, che è il più difficile da marcare e infine Del Piero, che è la classe innata. Lui è stato un esempio, il prototipo del calcio da imitare. Questi sono i giocatori più forti a livello tecnico; poi parlando dell’aspetto umano dico nuovamente Del Piero, che alla Juventus ho avuto modo di conoscere da vicino, uno che nell'arco della sua lunga carriera ha dimostrato sempre grande serietà.”

L’avversario che più ti ha fatto soffrire?

“In generale ho sempre sofferto gli attaccanti veloci; sono quelli più difficili da marcare. Tuttavia se dovessi fare un nome, come dicevo prima metto Ibrahimovic; è un calciatore straordinario che, se ha voglia di giocare, è assolutamente immarcabile.”

Prima hai parlato di Nesta, tu stesso sei un difensore della ‘vecchia’ generazione: è vera la storia che difensori di un certo livello non ne nascono più?

“Diciamo che è cambiato un po’ il calcio, ora ci sono altre necessità. Non si cercano più difensori puri, ma difensori che sappiano fare altre cose come ad esempio impostare, quindi un po’ più completi tecnicamente. Di conseguenza si è un po’ perso di vista l’allenamento a difendere. Oggi si difende di squadra, non c’è più l’ uno contro uno che esisteva un tempo e anche noi difensori non siamo più abituati a quello, ma lavoriamo di reparto. E obiettivamente credo che sia la cosa migliore oggi per una squadra. Detto questo, è vero che di difensori ce ne sono pochi; negli ultimi periodi effettivamente si è fatto fatica a trovarne di grandi.”

C’è una partita, tra quelle che hai giocato, che ricordi più delle altre?

“La prima che mi viene in mente è Italia Brasile di cui parlavo prima; molto emozionante. Giocare a Wembley con lo stadio pieno è stato veramente qualcosa di magnifico e affascinante.”

Hai fatto parte di importanti club del nord, ora sei a Catania, al sud, e le tue origini sono pugliesi, della provincia di Bari: c’è effettivamente un gap così grande a livello calcistico tra squadre del sud e squadre del nord e da cosa dipende secondo te?

“Il gap c’è, ma non è una questione di squadra, è questione di cultura e modi di fare. Al nord c’è un’altra concezione del lavoro a sud è un po’ diverso, si godono un po’ più la vita; che da un certo punto di vista è anche giusto. Non vivono solo per il lavoro; lavorano per poter vivere e nel tempo rimanente si godono la vita, i ritmi sono un pochino meno sostenuti rispetto al nord. Quindi è il solito discorso della coperta corta: se tiri da una parte, scopri dall’altra.”

In quale di questi due differenti modi di vedere la vita ti riscontri maggiormente?

“La via di mezzo sarebbe l’ideale ma è difficile trovare quell’ equilibrio. Per questo il gap si avverte soprattutto a livello organizzativo in riferimento al lavoro. Di contro però, se vieni al sud ti godi altre cose; ti godi la vita per quello che realmente è. La differenza di fondo è questa, nel calcio ovviamente ancora si avverte ma credo che, un passo alla volta, stiamo arrivando a colmare il gap.”

Nella tua carriera hai sempre accettato i consigli che ti sono arrivati da compagni e allenatori più esperti?

“Una persona saggia che vuole crescere deve per forza cercare consigli; più accetti consigli e più la tua vita avrà un’ altra visione. Ovviamente parlo di consigli sani. Ho sempre accettato consigli da chi era più esperto di me, perché sono stato abituato così. E questo mi ha insegnato molto, nella vita ma anche nel mio lavoro.”

C’è qualcosa che non rifaresti nella tua carriera?

“Tante cose non rifarei, perché comunque tutte le volte che ho sbagliato, sicuramente, è perché non ho mai seguito i consigli di Dio; e quando non lo fai, nella tua vita sei molto soggetto a sbagliare. Quindi forse tante cose, con la consapevolezza di adesso, non le avrei fatte.”

Ad inizio intervista ci hai confidato che la scorsa estate, non avendo ricevuto alcuna offerta, avevi anche pensato di smettere: ad oggi ti sei dato una scadenza su quando vorresti dire stop con il calcio? E una volta abbandonati i campi da gioco, cosa ti piacerebbe fare?

“Io ho firmato per due anni con il Catania; quindi questa stagione in corso più un’ altra. Fin quando il mio fisico reggerà andrò avanti; a me piace giocare a calcio e per ora sto bene. Per quanto riguarda il dopo, è chiaro che dipende da quello che viene; per me l’ideale sarebbe restare nel mondo del calcio, lottare per certi valori, lasciare dei messaggi a tante persone che hanno bisogno. Però tutto dipende da contingenze esterne; bisognerà vedere se ci sarà qualcuno che vorrà provare a fare una cosa simile e vorrà darmi la possibilità di mettere in pratica le mie competenze.”

Quindi ti piacerebbe provare a lottare per difendere i valori di questo sport?

“Assolutamente si; perché credo che quando c’è un gioco di squadra, collettivo, come lo è il calcio, certi valori fanno la differenza. Se si riesce a creare rispetto, lealtà, unione ed amore tra giocatori, famiglie ecc… tutto questo può portare a risultati positivi. Anche in campo.”