Ischia-Catania 2-0: Brutti e senz’anima

Kanouté ha messo a dura prova la retroguardia etnea.

Kanouté ha messo a dura prova la retroguardia etnea. 

Una squadra mai scesa davvero in campo che va recuperata sotto il profilo mentale, prima che sia troppo tardi.

La maledizione campana spegne sul nascere i proclami di Pitino
Campania sempre più terra maledetta per le sorti del Catania 2015/16. Si tratta della regione in cui sono maturate le altre sconfitte esterne stagionali (Casertana, Juve Stabia) e alla quale appartiene il Benevento, unica formazione che ha finora “violato” il Cibali in campionato. Sconfitta particolarmente pesante perché rimediata contro una diretta concorrente nella lotta per evitare i playout, l’Ischia, che grazie ai 3 punti conquistati al “Mazzella” si porta pericolosamente a -3 dagli etnei, avvicinati anche dall’Akragas (corsara a Catanzaro grazie al secondo gol del catanese Di Grazia in maglia biancazzurra) e raggiunti dal Monopoli che ha sconfitto una Lupa Castelli Romani ormai fuori dai giochi. Dalla lettura della classifica determinata dai risultati di giornata, oltre che dall’analisi complessiva sulla prestazione offerta oggi dai ragazzi di Pancaro, emerge un quadro decisamente differente rispetto a quello prospettato in modo inopportuno a conclusione della sessione di mercato dal ds Pitino, che aveva posto come obiettivo quello di vincere tutte le partite da qui a fine stagione per poter alimentare, sia pure con prudenza, il sogno playoff. In realtà, proprio tale chimera potrebbe rappresentare la vera spada di Damocle di questo gruppo, al quale gioverebbe un intervento correttivo dal punto di vista mentale. Ma su questo torneremo più avanti.

Un 4-3-3 più “coerente”, ma la mancanza di concentrazione rovina tutto
C’è da riconoscere che, nell’ambito delle diverse scelte tecniche e tattiche adottate nei 90’ quest’oggi, Pippo Pancaro sembra aver seguito le indicazioni più volte suggerite in questa rubrica. Gli 11 scesi in campo dal primo minuto rappresentavano le scelte più logiche per schierare il 4-3-3 tanto amato dal tecnico calabrese. Finalmente separata la coppia Musacci-Agazzi, con quest’ultimo prescelto nel ruolo di mediano davanti alla difesa e restanti componenti del centrocampo “complementari”: da un lato Di Cecco col compito di interdire e far ripartire l’azione; dall’altro Pessina chiamato a portar palla quando necessario ed allargare il gioco sulla sinistra. In attacco, due veri esterni (Calderini e Falcone) a supporto della punta Calil, tornato in un ruolo a lui decisamente più congeniale rispetto a quello di esterno sinistro che gli era stato ritagliato per consentire la convivenza con Plasmati. A dirla tutta, il centrocampo, solitamente il reparto più deludente della squadra, nella parte iniziale del match è sembrano più in palla (o comunque meno in difficoltà) del solito, perché Agazzi rispetto a Musacci è sembrato più propositivo e vivace nel venire incontro ai difensori per farsi affidare il pallone e giocarlo in avanti (e non in orizzontale), ed anche perché Pessina ha garantito un po’ di qualità in più nel giro-palla. Sia chiaro, nulla di trascendentale, ma qualche progresso sembrava manifestarsi. Invece la “lampadina” è stata immediatamente spenta da un doppio grave errore: quello di Bergamelli che, a seguito di un errore di posizionamento è stato costretto a commettere un fallo da dietro, provocando la punizione che Moracci ha tramutato in gol; e quello di Liverani, che ha agevolato l’opera del difensore mancino dell’Ischia posizionandosi in modo del tutto errato.

Inedite rivoluzioni tattiche, anch’esse compromesse da un atteggiamento sbagliato
Allo svantaggio con cui si è concluso il primo tempo Pancaro ha reagito immediatamente (contrariamente al solito), modificando nell’intervallo l’assetto tattico dei suoi e passando ad un 4-2-4 (soluzione anch’essa più volte da noi suggerita). Col senno di poi potrebbe risultare infelice la scelta di sacrificare, tra tutti, Pessina, per consentire l’ingresso di Lupoli ed il conseguente cambio di modulo, perché l’ex Lecce non ha demeritato nei primi 45’. Considerando, però, che in un modulo del genere uno tra lui ed Agazzi sarebbe stato di troppo (stante l’imprescindibilità di un elemento “equilibratore” come Di Cecco), il cartellino giallo rimediato dal giovane di proprietà del Milan avrà indubbiamente giocato a suo sfavore. Ma la verità è che qualsiasi scelta avesse intrapreso oggi il mister del Catania, il risultato non sarebbe cambiato. Perché questa partita i rossazzurri l’hanno persa in partenza, a causa di un approccio settimanale che, per quello che è stato espresso in campo, evidentemente è stato del tutto deleterio, ed ingiustificabile. Inutile quindi addentrarci sulla pochezza delle occasioni costruite dagli etnei, sulla scarsa incisività dei nuovi arrivi Gulin e Lupoli (giudizio rimandato ad occasioni più attendibili), sull’errore di concentrazione commesso anche in occasione del 2-0 (marcature perse in modalità a dir poco amatoriale). Il problema sta nella testa dei giocatori e va affrontato immediatamente, prima che sia troppo tardi.

Le condizioni di inizio stagione non sussistono più: serve una cura “psicologica”
Buona parte dei giocatori su cui ha puntato la dirigenza etnea in estate (e che compongono tuttora l’organico) sono ragazzi reduci da campionati conclusi con la promozione in cadetteria (Garufo, Bergamelli, Bastrini, Castiglia e Calil) o provenienti da squadre di B in cui sembravano destinati a iniziare la stagione (Pelagatti, Russotto, Nunzella). Molti di loro hanno accettato Catania sia per il fascino della piazza sia perché c’erano le concrete possibilità di vivere una stagione da protagonisti (tenendo in considerazione le speranze coltivate a inizio stagione sulla riduzione della penalizzazione, poi negata da CFA prima e CONI poi). Ebbene, questi ragazzi si trovano adesso a dover fronteggiare un campionato ormai compromesso, per motivi “extra-campo” e per un cammino altalenante, ulteriormente complicato dalle nebulose vicende che gravitano attorno alla proprietà. Una situazione se vogliamo ancor più grave di quella in cui si sono trovati gli altri giocatori “ambiziosi” transitati a Catania nella scorsa stagione in Serie B (da Calaiò a Rosina fino ad arrivare ai numerosi arrivi di Gennaio). Una situazione che va affrontata con fermezza prima che si ripeta il copione dello scorso anno, perché – ammesso che esista un futuro per questa società (ad oggi nessuno può affermarlo, sia in positivo che in negativo, con cognizione di causa) – di certo questo futuro cesserebbe di esistere se dovesse arrivare la terza retrocessione consecutiva. Per lavorare sulla mente dei giocatori e risolvere il blocco psicologico serve un grande sforzo da parte di Pancaro e della società affinché si ottenga quella compattezza ed unità d’intenti che è imprescindibile per raggiungere l’obiettivo. Ma bisogna farlo in fretta, anzi, in “frettissima”, se mi si passa l’errore lessicale. Diversamente non sembra esistere soluzione alternativa e più opportuna rispetto a quella di un cambio della guida tecnica con l’approdo sulla panchina del Catania di un coach dotato del “pugno di ferro” che attualmente il buon Pancaro non sembra possedere.

Contro i salentini l’ennesima partita da “dentro o fuori”
Contro il Lecce, dunque, ennesima partita da dentro o fuori. Non conta la classifica, che vede i giallorossi, rigenerati dalla cura Braglia, al quarto posto (ipotetica isola felice in ottica playoff) a +15 sul Catania. Non conteranno assenze, scelte tattiche, momento di forma. E’ un momento fondamentale della stagione, in cui non può essere ammessa esitazione alcuna, perché dietro le varie Akragas, Ischia e Monopoli non staranno a guardare, e davanti Catanzaro e Juve Stabia non si fermeranno per aspettarci. E’ necessario correre, vincere, muovere la classifica, scacciare i fantasmi, dimenticare i propositi di inizio stagione e riconquistare una serenità interna, che attualmente manca a Torre del Grifo, in modo tale che un minimo di serenità arrivi anche fuori, a quel pubblico che da due anni a questa parte vive un incubo a occhi aperti e continua timoroso a stare in guardia in attesa di un futuro più incerto che mai.