Opinioni

La serie B non esiste più

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28/03/2014 5:00

L’ingresso ai tornelli è insolitamente composto. Un brusio sommerso accompagna l’ingresso allo stadio. Silenzi più loquaci di qualsiasi parola, i volti stanchi segnati dalla sofferenza. Non è un rito funebre, certo. Ma poco ci manca: un rito agonico, tra la luce e il buio, tra speranza e illusione, tra la vertigine e il baratro. E mi domando se comunque anche qui, in una partita di calcio, la vita sia più forte. Se non sia ora difficile, o impossibile, ripensarsi in un luogo diverso ( o una divisione sportiva diversa dalla A). «Se u Chievo pareggia cco Bologna ancora cià putemu fari» «Cettu fussiru boni belli punti oggi co Napoli». E la speranza ha il volto e le parole della tenerezza. Di una ragione, di un calcolo che deve pur esistere. Deve pur ancora salvarci.
Volti torvi e tesi. Altri distesi a sorseggiare uno scadente caffè serale. Forse non sanno che il riconoscimento di una città passa anche da qui. Da simboli patri come il liotro, Agatuzza e il Catania. Perché sulla scena della A non c’è solo una squadra, una società, ma una città che in fondo, anche da qui, chiede spazio. Chiede riconoscimento e voce. Anche nel calcio che, dicono gli esperti, conta.

Ancor prima dell’inizio della gara la curva nord contesta duramente la squadra. Un vecchio, che nasconde una saggezza millenaria negli occhi, si domanda: «Ma picchì?». Perché contestare prima del match, prima che il verdetto scocchi inesorabile? Perché non sostenere fino all’ultimo secondo, dell’ultimo minuto possibile la salvezza della squadra? I pareri si dividono, si incontrano e si scontrano. Tifare a prescindere o criticare? Due tifosi della tribuna vengono quasi alle mani. Hanno vissuto fianco a fianco queste stagioni: i gol di Corona, le pennellate di Mascara, la rapidità di Gomez e la forza di Stovini. Eppure non si capiscono più. Torna poi la calma. I due si stringono le mani, ed un sorriso: «Forse abbiamo esagerato». Ma forse l’amore è sempre un po’ esagerato.

Inizia finalmente l’incontro, in un clima surreale. Ma nessuno all’interno del Massimino (neanche i tifosi del Napoli) sembra «giocare col coltello tra i denti, vendendo cara la pelle» come qualcuno tempo fa diceva alla vigilia delle partite che contavano. Più che una vittima sacrificale il Catania è il sacrificio di una vittima: un corpo agonizzante che ormai attende di spirare. Finisce 0-4. Ma è solo il primo tempo; sembrava un’eternità. Parte della curva si svuota. Ed è forse il desolante apogeo di una fine. Lo scollamento ormai irreversibile delle parti di un insieme, che qualche tempo fa sembrava invincibile.

«Eppure mancunu 8 pattite ancora» «Ma chi dici, ommai finiu». La speranza non è per tutti: esige impegno, responsabilità, entusiasmo, voglia di battersi fino all’ultimo respiro. Ma molte parti di quell’insieme, un tempo vincente, non hanno più speranza. Forse vi hanno rinunciato troppo presto o forse in tempo per non non soffrire ogni passo verso la fine: una serena e consapevole rinuncia. Anche questa, in fondo, è una valida filosofia. Ma c’è qualcuno che in questa rinuncia anticipata, chissà, desidera la B. Uno scuotimento, un rinnovamento. Qualcuno parla di “terremoto”, di purificazione. Forse basterà riavere un po’ di fame e recuperare quello spirito da matricola “terribile”. Chissà, forse ritornerà utile risentire allo stadio “Alè Catania”: con la sua carica autenticamente poetica, goliardica, localistica, che faceva sobbalzare, con il suo dialetto, le corazzate nordiche.

La partita finisce 2-4. Per l’anno prossimo ci si organizza come si può. «In B partite non me ne vedo: il sabato ho troppe cose da fare». «Mee a canciari il turno ro travagghiu». Fino alla risposta più commovente: «La B non esiste carusi. Per me il Catania è ovunque». Lo memorizzino bene i responsabili di questa disfatta imminente. Lo memorizzi chi ancora ha l’obbligo di lottare in campo e sugli spalti. Chi vuole abbandonarsi a piani distruttivi e alle vendette. Perché la vendetta è più semplice, ma l’amore autentico è ben altro impegno.

Si spengono a metà i fari del Massimino che segnano davvero la fine. Questa fine, perché ci sarà comunque un inizio. «This time tomorrow where will be» cantavano i The Kinks. Questa volta domani dove saremo?
Il brusio fuori lo stadio s’attenua. Resta solo uno strano odore di erba calpestata e di carta bruciata.


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