Opinioni

Il coraggio non è un optional

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09/12/2013 7:00

De Canio, gara persa già in partenza...

Gara persa già in partenza...
Pensavo che l'Olimpico di Torino fosse il punto più basso che il Catania potesse toccare. Mi sbagliavo. A Genova si è fatto addirittura peggio, per due motivi: 1 - Si trattava di una gara decisiva, uno scontro diretto cruciale anche in termini psicologici; 2 – La Samp è decisamente inferiore alla compagine granata allenata da Ventura. Risultato: un disastro su tutta la linea. Un disastro previsto, purtroppo. Sinceramente, quando è stata annunciata la formazione ufficiale a Marassi, si è capito che si sarebbe trattato dell’ennesima gara di sofferenza. Partirei da alcuni presupposti: se è vero come è vero che il Catania naviga in tormentati oceani psicologici; se è vero che gioca senza titolari importantissimi; se è vero che la condizione atletica non è ottimale; se è vero tutto questo, perché, per quale santa ragione, dato che la cosa peggiore che ti possa succedere è perdere (come puntualmente hai perso), non ti giochi la partita alla pari? Perché ti presenti, contro una Samp penultima e non certo imbottita di fuoriclasse ("scusante", per esempio, addotta per le gare contro Juve, Napoli e Milan), con l’ennesimo modulo cambiato (un 5-4-1 più che inedito), con 6 difensori, 3 centrocampisti e una isolatissima punta, Leto, che non è un centravanti puro e non fa della mobilità il suo cavallo di battaglia? Se scendi in campo così, fornisci solo due segnali: agli avversari, “Provo timore, attaccami con tranquillità”; ai tuoi giocatori “Provo timore, difendiamoci con affanno”. E puntualmente ciò è avvenuto. Non ricordo, in questi gloriosi otto anni di Serie A targata Pulvirenti, anche negli anni più difficili, un Catania che non abbia mai tirato una sola volta nello specchio della porta. Una. Da Costa non ha mai fatto una parata. Non dico difficile, ma “una”. Così non va, non va. Non è questo l’approccio giusto, la mentalità corretta per potersi salvare. Serve coraggio e questo Catania scende in campo impaurito fin dagli spogliatoi. Spiace ribadirlo ancora una volta, ma l’esperienza De Canio alle falde dell’Etna, finora, si è rivelata altamente improduttiva. Quattro punti in sette match, ma non è solo questo. Sono le prestazioni a far riflettere. Sembra che i ragazzi scendano in campo dicendo al mondo: “Più di questo non possiamo fare”. E non va bene per niente, anche se fosse la verità. Corollario, amaro: il Catania è ultimo, a 5 punti dal quart’ultimo posto e lo merita per gioco e sostanza atletica. Tutti gli alibi sono legittimi, per carità, dagli infortunati alla preparazione sbagliata, ma ora la situazione è questa e ci vuole un approccio psicologico diversissimo rispetto a quanto visto nella gestione De Canio. La Samp, a mio parere squadra modestissima (e la classifica lo sottolinea), ha giocato nella gara decisiva con 3 attaccanti puri (Eder, Gabbiadini e Pozzi) più un centrocampista offensivo (Soriano); due soli mediani e quattro (non sicurissimi) difensori. Il messaggio inviato dall’ex Miha è apparso chiaro: scarsi o non scarsi, all’attacco! E i blucerchiati, pur giocando male (primo tempo inguadabile, non una occasione creata), pur mostrando limiti tecnici evidentissimi, hanno recepito e hanno "ovviamente" segnato alla prima occasione (malissimo Gyomber e Peruzzi sul colpo di testa del non gigantesco Eder), per poi raddoppiare in ripartenza con un gran gol di Gabbiadini. A questo punto, la domanda sorge spontanea: che senso ha giocare in 10 davanti alla tua porta per poi, una volta preso il prevedibilissimo gol, mettere in campo TUTTI gli attaccanti a disposizione: Keko, Maxi, Boateng più Leto? Dai un’impressione di confusione evidente, di “mossa della disperazione” che in un momento del genere non è il caso di veicolare all’ambiente. Ripeto, il problema non è solo la sconfitta o la classifica, in quanto mancano ancora tante partite e nel calcio tutto è possibile (nella stagione di Mihajlovic il Catania aveva gli stessi punti alla quindicesima), è il “modo” in cui viene o vengono (sono tre consecutive). E' la prestazione complessiva ad essere negativa, da parte di tutti sia chiaro, tranne che per il portiere Frison, il quale ha limitato il passivo con un paio di buone parate. Obiettivamente, giocare con tre difensori centrali, due esterni come Peruzzi e Biraghi “raddoppiati” da Castro e Monzon, due centrali e una punta, salvo poi gettare nel calderone tutto e il contrario di tutto in attacco, rimane una delle “trovate” tattiche meno comprensibili cui sia capitato imbattermi. Ma sicuramente sarà un mio deficit di comprensione. Mi sembra lapalissiano, però, che alcuni giocatori, da Guarente a Tachtsidis, da Monzon a Leto (su Peruzzi è impossibile esprimersi per ora), per finire a Maxi (Biraghi, Boateng e Keko sono ragazzi ancora non prontissimi per frangenti così “bollenti”), stiano continuando a non fornire le risposte adeguate al fine di recuperare posizioni i classifica. Magari qualcuno di questi riuscirà a “risalire posizioni” nelle prossime partite, ce lo auguriamo fortemente, ma il tempo stringe e con i “se” e i “ma” o gli alibi “confortanti” non si va da nessuna parte. Rimarrà, comunque, nel mio ricordo la partita in cui il Catania non è riuscito a creare nemmeno UNA occasione da rete. E non è poco…

Fare come alla prima stagione pulvirentiana
Fin quando ci sarà speranza matematica non smetterò mai di pensare che possa essere una situazione rimediabile. E, matematicamente, ancora c’è una vita di fronte al Catania. E si potrebbe rimediare lavorando su due fronti:

1- Come dice il presidente, bisogna recuperare condizione atletica e giocatori titolari. Con 4 o 5 elementi importanti, in buona forma, ovviamente la squadra cambia, in personalità e in cifra tecnica.
2- Il primo anno di gestione del presidente Pulvirenti, in B, in estate furono acquistati per Costantini elementi “fuori categoria”, gente che aveva anche partecipato ai Mondiali, tipo Walem, Vugrinec, Fresi, Ferrante e compagnia bella. Ebbene, appurato che si era sbagliato strategia, a gennaio venne “rinnovato” il parco atleti, inserendo gente come Menegazzo e Serafini, per fare qualche nome. Il Catania di Sonetti, dalla zona retrocessione rischiò di andare ai playoff.

Ecco, tutto questo è ripetibile, ci sono i tempi. Ma occorrerà fare una cosa: cambiare mentalità, con o senza i giocatori più esperti e bravi in campo. Il Catania deve giocare per vincere, non per "non perdere". Bisogna responsabilizzare i giocatori, convincendoli che si può farcela anche attraverso il gioco. Solo così gli eventuali interventi di gennaio, da affiancare ai “sicuri”, all’ossatura della squadra dello scorso anno che non può improvvisamente essere diventata così fragile, potranno essere produttivi.

Verona, questa sì “ultima spiaggia”
Considerato che la partita successiva la si dovrà a giocare all’Olimpico contro la Roma di Garcia, si capirà benissimo come la prossima gara interna contro la sesta in classifica, il Verona, risulti decisiva per il futuro del Catania. Indispensabili i tre punti per poter sperare di rimanere agganciati alla zona salvezza. Basta vedere cosa ha fatto il Chievo, ultimo a 6 punti tre turni fa, e adesso fuori dalla zona calda dopo tre vittorie consecutive susseguenti all’avvento di Corini. Gli scaligeri vengono dalla vittoria interna con l’Atalanta e stanno disputando un grande campionato. Soprattutto a centrocampo e in attacco hanno trovato, attorno all’eterno Toni, ragazzi interessanti come Iturbe, Martinho, Gomez, Jorginho, Jankovic; nelle ripartenze sono micidiali, ma in trasferta hanno spesso balbettato. Tuttavia, ci vorrà un Catania, al di là dei rientri (Barrientos, il greco, forse Izco), completamente diverso, soprattutto nella mentalità e nello schieramento. Per vincere bisogna segnare e per segnare è necessario attaccare. Intelligenti pauca. Let’s go, Liotru, let’s go!!!


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