Come siamo andati in Serie A: decimo ed undicesimo capitolo

Foto: Archivio Alessandro Russo

Foto: Archivio Alessandro Russo 

Sesto ed ultimo appuntamento con le memorie rossazzurre di Mario Corti, giocatore del Catania dal 1957 al 1964

Buongiorno, buongiorno.
È già giovedì ventotto marzo duemilaediciannove e si celebra Sisto III, il Papa santo che ricompose i dissensi tra il patriarcato d’Antiochia e quello d’Alessandria.
Ma è quest’oggi pure il giorno in cui sarà online –in prima visione assoluta- l’ultimo appuntamento con l’incantevole volumetto scritto di suo pugno dal signor Mario Corti.
È con autentica gratitudine, pertanto, che uno per uno saluto tutti coloro i quali per tutte e sei le puntate son rimasti appiccicati alle nostre frequenze di Calciocataniapuntocom. Infine, non mi resta che concludere questa rubrica qui, che -lo ricordo- s’intitola Come siamo andati in serie A, con una assai minuta interpellanza. Invero mentre butto giù queste poche righe mi domando come stia vivendo oggi il suo personale rapporto col giuoco nazionale del pallone l’intera città che vive e vegeta all’ombra del Mongibello e che ha per stemma il liotru. Ordunque, con tanta schiettezza, la penna la passo ai miei due amici Carmelo e Rosario che codeste vicende le conoscono di certo meglio di me.
«Mi pari –spiega con calma il primo- ca ra nostra squatra intra i bar non ni sta parrannu chiu nuddu. U fattu è ca tutti i catanisi pi camora stanu pinsannu a Cristianu Ronaldo ca si fici mali nta iamma co Pottogallo. Ogni menzura tutti pari pari s’addumannunu: “Cu u sapi su Ronaldo cia fa o non cia fa a ricuperari in tempo pi Juve-Aiax?” Ma, carusi, unni ama ghiri iennu…»
«Ascutami Cammelo,
-lo interrompe l’altro- iè megghiu accussì. A duminica passata a Reggina n’abbiau tri puppetti e a palla o Catania non cia fici mancu tuccari. Eppimu macari tnaticchia futtuna, picchì puppetti ci ni putevanu fari macari sei. Appoi ci fu un iucaturi, chiddu ca vavva longa, ca megghiu ca non tu ricu zoccu cumminau. Ca appoi d’autru, chiddu ca oggi all’annu signava sempri, trasiu ndo campu e mancu u tempu e si fici ittari fora. Ascutami, ca fossi ca sta vota è megghiu su i nostri tifusi pensanu a Chistianu Ronaldo,va.»
Viceversa giunto è per me il momento di tornar nuovamente a meditare su Antiochia e Alessandria e per finire invocare perfino papa Sisto III.
Dopo un minuto, prendo dal tavolo il tappo della mia penna bic.
Arrivato a questo punto, incappuccio.

Rosario e Carmelo, cuori rossazzurri... 



CAPITOLO DIECI: LE CINQUE PARTITE PERSE
Prima di concludere questa mia breve antologia di ricordi in rossazzurro, voglio un po' parlarvi delle cinque partite che abbiamo perso quest’anno (quando dico quest’anno mi riferisco, ovviamente al campionato appena concluso). Su trentotto partite, dunque, abbiamo fatto quattordici vittorie, diciannove pareggi e cinque sconfitte. Volete saperlo? Anche adesso, a campionato concluso ed a promozione acquisita, la gente tutte le volte che m’incontra non fa altro che parlarmi di quelle cinque maledette sconfitte. A volte mi arrabbio e non riesco a mascherare dietro frasi gentili il mio disappunto, ma credo che la gente esageri a volere a tutti i costi trovare la luna in fondo al pozzo. Cinque sole partite perse in un campionato di trentotto giornate non mi sembrano affatto un bilancio negativo e non dovrebbe parlarsene tanto in giro. Il fatto è che la gente ha digerito male il fatto che siamo andati a perdere proprio l’ultima partita, ma scorda che eravamo stanchissimi, che avevamo tutti i nervi logorati dalla tensione di questo incandescente finale di torneo che ha visto noi e la Triestina impegnati allo spasimo in un duello conclusosi soltanto sul palo d’arrivo.

Ad ogni modo voglio farvi una breve storia di queste cinque partite perse. Senza voler essere partigiani posso onestamente dirvi che per quasi ognuna di esse esiste una qual erta giustificazione. Perdemmo a Catanzaro e non mi sembra che si giocasse in condizioni normali (il pubblico sembrava inferocito contro di noi ed aizzava quasi fossero belve, i suoi giocatori contro di noi), nè mi sembra che l'arbitro Orlandini riuscì in quell'occasione ad estraniarsi da quell'ambiente surriscaldato in quanto ci danneggiò con cento discutibili decisioni ed espellendoci anche Boldi II e Ferretti.

Perdemmo poi a Valdagno e quella volta più che il Marzotto fu davvero l'arbitro Angelini a batterci annullandoci un gol, inventando un rigore per i padroni di casa e convalidando infine un loro terzo gol, allo scadere del tempo, segnato in chiara posizione di fuori-gioco. Senza dire che intanto ci aveva espulso Compagno per un fallo venialissimo, che anche Michelotti negli ultimi minuti andò fuori perché colpito al capo da una mela lanciata da uno del pubblico e che sia Bonci che Francia erano pressoché inutilizzabili in campo perché vittime di strappi su un terreno allentatissimo dalla pioggia. Più guai di così è impossibile che capitino tutti insieme ad una squadra.

La terza partita la perdemmo a Novara dopo aver subito tre rinvii uno dei quali deciso alla fine del primo tempo quando vincevamo per uno a zero. La volta che giocammo fummo costretti a schierare una formazione di fortuna ed andò a finire che nel primo tempo incassammo balordamente tre gol compromettendo in maniera definitiva la gara giocata anche stavolta otto la pioggia e su un campo ridotto ad un mare di fango.

Poi perdemmo ancora a Verona e stavolta vi sono ben poche scuse da tirare fuori: lasciammo liberi gli uomini migliori degli scaligeri (Maioli, innanzitutto) e finimmo battutissimi inseguendo una impossibile rimonta. Infine c'è l'ultima partita e l'ultima sconfitta di Brescia sulla quale, mi pare, sia stato detto tutto quello che c'era da dire.

Voglio solo aggiungere una cosa: ma perché ricordare soltanto questi cinque episodi tristi del nostro vittorioso campionato? Perché non riandiamo invece col pensiero alle nostre quattordici vittorie od a qualcuno dei tanti preziosissimi pareggi esterni sui quali abbiamo praticamente edificato la nostra sudatissima promozione? Io spero che tutti i nostri tifosi, i nostri sostenitori, tutti gli sportivi rossazzurri la pensino come me, vale a dire così: l'importante era andare in Serie A, e noi ci siamo arrivati.

2019-03-27_11-16-21



CAPITOLO UNDICI: IN SERIE A CI SIAMO ANDATI E VOGLIAMO RESTARVI
Adesso ho proprio finito. Tutto quello che mi rimane da dire riguarda la sincera riconoscenza verso tutti coloro che hanno in qualche modo partecipato a questa nostra bella affermazione sportiva. Anzitutto verso il nostro allenatore Di Bella al quale spetta riconoscere oltre ai meriti tecnici sopra­ tutto quelli psicologici in quanto ha fatto di noi una grande famiglia legandoci sia come squadra in campo sia come individui fuori dal terreno di gioco. È stato, oltre che un valente maestro, il giudizioso amico di tutti noi che ha sempre impiegato per il fine unico della perfetta efficienza e funzionalità della squadra. Sono contento di essere stato guidato dal suo fischietto e spero di averlo al fianco ancora per lungo tempo.
Un altro che merita ampi riconoscimenti è il commissario della Lega dott. Marcoccio che ha saputo risanare una società che fino all'anno scorso sembrava minata da una inguaribile crisi finanziaria, ricostruendola si può dire dalle basi, spendendo in essa tutto il suo appassionato fervore e la sua producente intelligenza. Senza di lui non saremmo certamente andati in Serie A, non saremmo nemmeno stati una squadra nel vero senso della parola, non avremmo avuto l'ordine finanziario che ha caratterizzato quest’anno le nostre prestazioni.

Gli sportivi rossazzurri devono davvero moltissimo al loro commissario Marcoccio.
Dietro di lui vanno ricordati tutti: dal preziosissimo dott. Giuffrida nostro “angelo tutelare” al nord, all’avv. Stazzone, dal dott. Di Stefano, al dott. Pesce (che all'inizio del torneo seppero mostrarsi assai comprensivi col commissario Marcoccio circa le varie pendenze finanziarie) dal dott. Sapienza al rag. Maugeri, dal signor Di Giorgio, al dott. Di Blasi e via via a tutti gli altri che ci sono stati vicini e ci hanno aiutato in tutti i modi a superare i mille ostacoli (d'ogni natura) di cui è stato cosparso il cammino verso la Serie A.

Questa grande famiglia che è il Club Calcio Catania sta ora serrando maggiormente le sue file per approntare un complesso degno della massima serie calcistica in cui la nostra squadra è rimasta da sola a rappresentare, dopo la retrocessione del Palermo, il calcio siciliano. Speriamo di fare bene anche l'anno prossimo, di disputare almeno un campionato onorevole che ci serva di assestamento nella Serie A dove contiamo di rimanere il più a lungo possibile.
Adesso poso la penna e torno alle mie scarpe bullonate: quest'altr'anno ci aspettano gli squadroni blasonati, avremo da vedercela con l’elite del calcio italiano. Vedrete, comunque, che tutti noi (i “vecchi” che resteremo ed i “nuovi” che verranno) riusciremo a regalare ancora tantissime belle soddisfazioni all'appassionato pubblico rossazzurro. Noi, almeno, questo speriamo.