"Silenzio, stampa."

 

Un rumoroso silenzio avvolge la Società ed il suo Presidente, sempre più uomo solo al centro di un progetto a rischio.

Durante la torrida estate del 1982, quella dell’Italia campione del Mondo, un articolo pubblicato da “Il Giorno”, all’interno del quale vi era scritto che Pablito Rossi ed Antonio Cabrini dormivano nella stessa stanza come moglie e marito, scatenò l’ira degli azzurri ed innescò, di fatto, il primo silenzio stampa di gruppo nella storia del calcio moderno. In realtà, anni dopo, si scoprì che il vero motivo scatenante furono i premi partita, pattuiti in 70 milioni di lire, che i giocatori non volevano venissero a galla per evitare la mannaia del fisco.

Ma poco importa, quello che si intende qui sottolineare è che si tratta di una abitudine tutta italiana, introdotta negli anni anche nei Paesi esteri.Per preservare gli equilibri dello spogliatoio e ritrovare la giusta concentrazione, dicono oggi i Presidenti della squadre di calcio in crisi di risultati. Oppure per semplice scaramanzia, prima di una serie di gare decisive. Tutt’altra storia rispetto al sale grosso sparso sul campo da personaggi immaginifici quali Angelo Massimino e Romeo Anconetani.

Il silenzio stampa, intendiamoci, non è una sciocchezza. E’ una maniera per tutelare i propri interessi, salvaguardare la propria creatura da minacce, insidie ed illazioni. Ma non è stato e non è il caso del Calcio Catania. Che ha sempre beneficiato di una condotta accondiscendente e benevola di buona parte della stampa, quasi esclusivamente locale, attraverso tutti i canali media possibili. Carta stampata, trasmissioni radiofoniche e televisioni. Sotto i gentili inviti della Società che chiedeva di stringersi attorno alla squadra, incondizionatamente. Fino a quando qualcosa si è rotto, e non certo a causa dei deludenti risultati sportivi maturati sul campo, almeno non solo per quelli.

Si è rotto il diretto contatto con la gente, i tifosi e quindi con la stampa locale che degli sportivi oggi vuole esserne portavoce. Troppo frettolosamente, forse. Dimenticandosi di avere in parte contribuito al collasso di una realtà sportiva, cavalcando l’onda del Ripartiamo con la A maiuscola, tralasciando alcuni, importantissimi dettagli.
Una governance che cambiava, con l’ingresso di Cosentino al quale in estate è stata confermata ed anzi estesa la fiducia e l’avvento della Gea World, la rinata società di Alessandro Moggi, attraverso un contratto di collaborazione inerente il marketing.

Questo silenzio stampa, oggi, non ha senso. E’ una sconfitta per la comunicazione e un’ulteriore smacco per i tifosi, che oggi avrebbero il diritto di conoscere i programmi di questa Società. E sapere, soprattutto, se ne esistono a lungo termine. E vorrebbero delle precise risposte agli interrogativi, mai risolti, che si protraggono da un anno e mezzo a questa parte. Un segno di debolezza, così lo intendiamo, perché sottrarsi al dialogo – oggi più che mai necessario – significa ammettere di non potere sostenerlo.

L’ingaggio di Dario Marcolin, del quale tutti riconosciamo le qualità umane prima che professionali (quest’ultime sono ancora da dimostrare) sarebbe dovuto essere accompagnato da un conferenza stampa. Non un evento di gala, ma un incontro che spiegasse a stampa e tifosi i motivi che hanno determinato questa scelta. Ed hanno invece decretato l’allontanamento di Sannino, prima dello sciagurato avvento di Maurizio Pellegrino, che non ha certo brillato in quanto a risultati (5 vittorie, 6 pareggi, 6 sconfitte ed una media punti di 1,26 a gara) all’interno di un contesto ambientale nel quale persino Van Gaal e Guardiola avrebbero faticato, ma che sapeva parlare alla stampa ed ai tifosi. Forse, fin troppo bene per essere considerato un uomo vicino alla squadra (ed alla Società).

Ci si chiede, dunque, perché continuare ad adottare questa politica. Che ha fatto si che gli sportivi catanesi si sentissero ancor più ai margini di una Società, presieduta da Nino Pulvirenti ma di fatto appartenente ad una intera città. E’ un po’ come smarrire le chiavi di casa, ed essere costretti a citofonare ogni qualvolta si vuole rientrare tra le proprie mura.