Un porto da raggiungere

Un capitano da seguire

Un capitano da seguire 

Riflessioni sul passato, presente e futuro...

Catania, 12 Novembre 2019. Ore 22.30.
La finestra è aperta. La serranda è abbassata, ma non interamente. Spiragli lasciano entrare l’aria e il suono della pioggia che continua a venir giù da questa mattina. È sera inoltrata ormai, ma non ancora notte. C’è ancora qualche ora buona da sottrarre al riposo e da dedicare al foglio bianco. Giornata intensa oggi, movimentata da scritture più o meno entusiasmanti, con la penna più sospinta dalla forza d’inerzia che dall’ispirazione.

Ascolto un po’ di musica, la mia adorata strumentale, la metto a volume basso, perché voglio sentire in sottofondo anche le carezze della pioggia. Carezze o lacrime, compagnia o presagio?

Nel pomeriggio, dal mare magnum di Facebook, fra post su cui spendere qualche minuto e altri da non degnare neanche di uno sguardo, mi sono soffermato su una vecchia foto di gruppo. C’è tanto rossazzurro in quella foto, anche se non è distribuito così come sono abituato a vederlo da anni.

Catania 1992-93 



I colori sono depositati in blocchi netti e ben distinti. Sul petto e sulle spalle c’è il color del mare. Il nostro mare.
Il rosso della lava dell’Etna, anche se sbiadito dagli anni di una carta fotografica uscita dalla camera oscura chissà da quanto tempo, riempie tutto il resto, calzettoni compresi, eccezion fatta per i pantaloncini dipinti di nero.

La guardo bene. È particolare. La guardo bene. L’ho già vista in movimento, ma non ricordo dove.

Una didascalia amica mi dà una mano: 1992/93. Il gioco è fatto! Qualche mese fa, prima che questo sciagurato campionato iniziasse, l’avevo vista all’opera su Youtube. In campo Catania-Avellino, prima giornata del campionato di Serie C1. Risultato finale: 5 a 1 per i rossazzurri. All’improvviso sono attraversato da un brivido freddo. Freddissimo. La mia mente realizza un’associazione che definirla ‘triste presagio’ è poco. Quella partita di 26 anni fa, infatti, segnò l’inizio di una stagione conclusa con l’estromissione dal professionissimo perpetrata dal Palazzo.

Vico bussa alla mia porta.
Campionato di C 2019-20, prima giornata: Avellino-Catania 3-6. Altra goleada agli irpini, ancora alla prima giornata, ancora un gol di un catanese (ieri La Torre, oggi Bucolo), anche se a campi invertiti.

“Non può essere mai come ieri”. Provo a dare ascolto alla Cantantessa e a Mario venuto da Siracusa, anche se quella coincidenza risuona dentro la mia testa come campanello d’allarme.
Corsi e ricorsi. La storia fa paura.

La situazione attuale del Catania non è delle più floride. È inutile nasconderlo. Il ciclo di Pulvirenti e Lo Monaco è giunto al punto più basso della sua storia. Forse siamo arrivati all’epilogo di uno dei capitoli più importanti dell’intera storia dell’Elefante: un’inarrestabile ascesa verso il Paradiso, un soggiorno di 8 anni filati nell’elite dell’italico pallone, e un’altrettanto dirompente discesa verso gli inferi.

Il quinto anno di C, dopo l’illusorio exploit in Irpinia, ha assunto le sembianze di un incubo: umiliazioni in serie in trasferte; figuracce epiche; squadra che perde i pezzi; un progetto tecnico naufragato già in autunno; disastri di comunicazione fra società e ambiente; gente che va e gente che torna; una classifica da film horror con un distacco abissale dalla vetta.
Il patron prova a rassicurare la piazza, ma le sue rassicurazioni convincono poco. I risultati sul campo non lo aiutano. Lo stadio si svuota. Le voci si susseguono. Gli ingredienti per far divertire Vico ci sono tutti. Quel presagio sembra una profezia.

L’unico che sembra credici sul serio parla con un accento toscano che cattura e stimola. È già stato dalle nostre parti, meno di due anni fa. Si chiama Cristiano Lucarelli, viene da Livorno, ed è arrivato a novanta minuti dalla Serie B. È tornato carico e sorridente. Ha il volto dipinto di quella serenità che vorrebbe dare a squadra, società, stampa, istituzioni e tifosi. Serenità a quelle cinque componenti, tanto auspicate dal dirigente di Torre Annunziata, che ormai zoppicano lungo strade diverse.

Cristiano Lucarelli, atto secondo... 



Sabato 9 Novembre, prima della gara interna con la Leonzio, si è svestito dai panni del mister indossando quelli del capitano. Capitano di una nave che sembra andare alla deriva. Capitano che si carica sulle sue spalle l’intero peso di una situazione mai così pesante.

Concetti chiave, parole ben dosate che motivano. Se andasse lui in campo si arriverebbe subito in A, altro che B. Parla con il cuore, Cristiano, parla senza nascondersi, parla come avrebbe dovuto fare un dirigente, anzi, il presidente.
Lui non lo è, è semplicemente un soldato che crede nella causa. Rossazzurra.

La nave è ancora a galla, ha imbarcato tanta acqua, ha dei danni evidenti che andrebbero riparati, ma continua a navigare in un mare sì tempestoso ma non ancora letale. Non ancora.

Servirebbe una bel restyling, ma nessuno si fa avanti. Comandanti all’orizzonte ce ne sono, ma invece di portare a bordo le loro maestranze e vettovaglie, attendono che la nave si inabissi per poi potergli strappare la bandiera e issarla in una nave nuova e lucente, ancora da immatricolare, il cui progetto è stato consegnato al capo mastro di un vicino cantiere navale.
Vico se n’è andato. Di corsi e ricorsi non ce ne sono più.

Il Presidentissimo Angelo Massimino insieme alla bandiera rossazzurra Damiano Morra (Foto: Archivio Alessandro Russo) 



Di Cavalieri senza paura, che soccorrono navi alla deriva, così come accadde nel 1992, non se ne vedono neanche l’ombra. Non ci sono più i comandanti di una volta, non esistono più. Quella dinastia si è estinta per sempre.
Cosa fare allora?
La nave galleggia, il capitano labronico la guida con le spalle larghe e il petto in fuori.
Chiama a raccolta l’equipaggio.
Chiama a raccolta quella che è diventata la sua gente.
L’unico modo per superare quella tempesta, per evitare che la nave si inabissi per sempre, è fondersi in un unico corpo.
In un’unica maglia. Rossazzurra.
La certezza che quel porto venga raggiunto non c’è.
Ma occorre provarci, tutti insieme.
E poco importa chi sia il comandante.
C’è una nave di storia da salvare.
Perché in fondo al mare non vuole proprio andare…