Trull…ellino doloroso Doudou dadada

Il confronto tra squadra e tifosi a fine gara

Il confronto tra squadra e tifosi a fine gara 

Il commento alla partita del Veneziani di Monopoli conclusa con un 5-0 umiliante

Che non sia un altro Melfi!
Circa un anno, più o meno di questi tempi, finiva ufficiosamente il campionato 2016-17 del Catania. Era il 5 di marzo e al “Massimino” il Melfi di Aimo Diana, oggi stimato tecnico della Sicula Leonzio (formazione capace di bloccare lo schiacciasassi Lecce), maramaldeggiava sul Catania, opaca controfigura della squadra gagliarda che soltanto la settimana prima era riuscita a vincere un derby d’altri tempi contro il Messina a Messina. Quell’incredibile 0-2 per i lucani, reduci addirittura da undici sconfitte di fila, costrinse Mario Petrone ad abbandonare una nave rossazzurra squarciata dall’impatto devastante con quell’iceberg e destinata ad inabissarsi nell’oblio di acque torbide. Quel giorno finì il campionato, tutto quel che seguì, infatti, fu soltanto una lenta agonia (con cinque sconfitte di fila e figure barbine in quantità industriale) che trovò conclusione con la poco gloriosa partecipazione ai play-off promozione per grazia ricevuta. Contesti diversi, classifiche diverse, storie diverse. Quelle parole di capitan Marco Biagianti, rilasciate qualche ora fa nella zona mista del “Vito Simone Veneziani”, però, hanno fatto riapparire gli spettri: “Chiedo ai tifosi di starci vicino, so che è difficile ma questa situazione mi ricorda quella che si creò lo scorso anno dopo la sconfitta con il Melfi. Non possiamo ritornare nel vortice in cui eravamo finiti. Non molleremo fino alla fine”. Non possiamo ritornarne nel vortice, non si può proprio. Non si può gettare nel water una stagione che fino all’assurdo harakiri di Monopoli aveva partorito 49 punti in 24 gare e una striscia di vittorie in trasferta che soltanto i grandi Catania del passato erano riusciti a firmare. È altrettanto vero, però, che il cappotto monopolitano non può passare inosservato, non può esser archiviato in silenzio. L’impressione è che ci sarà tanto rumore. Tanto.

Cronaca di una disfatta
Eppure non sembrava una brutta giornata. Al “Veneziani” il Catania si era presentato con la maglia “portafortuna”, la nera che sfuma verso le varie tonalità del grigio, la stessa indossata nelle vittoriose trasferte di Brindisi e Rende (entrambe archiviate con una vittoria per 3-0) e meno di un mese fa nel big-match del “Via del Mare” di Lecce, quando per buona parte dell’incontro si accarezzò concretamente la possibilità di strappare i tre punti ai salentini. L’inizio sembrava incoraggiante. La determinazione degli undici in campo sembrava quella delle giornate migliore. La voglia di combattere pure, l’aggressività idem. La svolta che non t’aspetti, l’episodio che cambia inconsapevolmente il corso della gara, capita attorno al ventesimo del primo tempo, quando il roccioso mediano pugliese Zampa, abbattuto qualche minuto prima da un deciso intervento di Rizzo, è costretto ad alzare bandiera bianca. Fuori un mediano, dentro un altro? Non per mister Beppe Scienza, capace di tirar fuori dal cilindro il coniglio che spezza l’equilibrio che regnava sovrano fino a quel momento. In campo lo sloveno Til Mavretic, di professione trequartista, con il Monopoli che passa dal 3-5-2 ad un più spregiudicato 3-4-1-2. Dieci minuti più tardi, al 32’, l’ex akragantino Salvemini – l’uomo che segnò la rete decisiva nella vittoria dell’Akragas sul Catania di un anno fa, quella che costò la panchina a Pino Rigoli tanto per intenderci – s’infila nel cuore dell’aerea catanese ed impallina un incerto Pisseri. È l’inizio della fine. Cinque minuti dopo, ancora Salvemini, duetta con Genchi manco fosse al Festival di Sanremo: il sinistro a giro scagliato dal bomber dei biancoverdi bacia il palo di destra della porta di un incolpevole Pisseri per poi finire nel sacco. In avvio di ripresa mister Lucarelli prova a dare la scossa, inserendo Di Grazia, Marchese e il 4-3-3 al posto di Barisic (lontanissimo parente di quello ammirato contro il Cosenza), Porcino e di un 3-5-2 che non aveva nulla di 3-5-2. Dieci minuti dopo altro cambio: fuori Biagianti, dentro Mazzarani. Il risultato è il terzo gol dei gabbiani firmato dal migliore in campo, tale Dimitrios Sounas, inesauribile motorino greco del centrocampo, che in un’altra vita sarebbe stato il più valoroso dei Mirmidoni al servizio di Achille nella guerra di Troia. Partita chiusa, ma non il risultato che assume proporzioni umilianti negli ultimi sette minuti con due reti propiziate dalle incursioni di Mangni Doudou, entrato in campo al settantottesimo al posto di un applauditissimo Genchi, che devasta quel che resta della fascia sinistra rossazzurra. Dopo il Trullo della Malacumpassa, alias il 3-0 dei biancoverdi dello scorso 23 aprile, ecco un ancor più umiliante 5-0 accompagnato dagli olè del “Veneziani”. Altro che “Parco della Vittoria”…

Disastro su tutta la linea
È vero, nel precedente paragrafo abbiamo scritto che all’inizio non sembrava una brutta giornata, anche se dal grigio cielo monopolitano gabbiani affamati planavano sul green del “Veneziani” già dalle prime ore del mattino. Quando però la distinta arriva in tribuna stampa con essa giunge una buona dose di perplessità, simile a quella giunta sette giorni orsono nel pre Catania-Cosenza. A parte l’avvicendamento in difesa tra Blondett e Tedeschi, quest’ultimo tra i meno positivi contro i silani (vedi la mancata chiusura in occasione del gol di Mungo), e l’inserimento di capitan Biagianti al posto di Fornito, desta qualche dubbio di troppo la scelta di schierare contemporaneamente Barisic (ancora come quinto di destra), Ripa e Curiale: tre attaccanti dalle caratteristiche diverse ma non proprio complementari. Soluzioni tattiche cervellotiche, viste e riviste nel corso di questa stagione (vedi Semenzato nel terzetto d’attacco in quel di Trapani, tanto per fare un esempio), che hanno prodotto più danni che altro. Ne viene fuori una squadra spezzata in tronconi, con gli attaccanti in balia di se stessi, privi di rifornimenti provenienti da un centrocampo surclassato dalla velocità e dal dinamismo dei Sounas, Scoppa (chi lo avrebbe detto!), Mavretic e dagli esterni inesauribili Rota e Donnarumma, e con una difesa scoperta, vulnerabile agli attacchi condotti dal duo Genchi-Salvemini che non fa rimpiangere l’assenza dello squalificato Sarao, quest’ultimo giustiziere della Fidelis nella gara della scorsa settimana. Squadra sbilanciata, che appare priva di un’identità tattica e di gioco, che si dissolve come neve al sole dopo aver incassato la prima rete, umiliata oltremodo da un Monopoli rigenerato da Scienza che gioca a memoria utilizzando l’abc del calcio, niente di più.

Sosta quanto mai provvidenziale
Il triplice fischio dell’arbitro Matteo Proietti di Terni, lo stesso di Juve Stabia-Catania 4-0 del 22 dicembre 2016 (corsi e ricorsi, Vico ci sguazza!), mette fine all’umiliazione in campo e, allo stesso tempo, dà inizio ai processi. A dodici giornate dalla fine (undici le gare ancora da disputare dai rossazzurri) il -7 dalla capolista Lecce impone un’attenta riflessione: bisogna credere ancora in un’improbabile rimonta oppure bisogna rassegnarsi alla lotteria dei play-off? E soprattutto, bisogna continuare con Lucarelli oppure occorre dare una sterzata decisa (alias cambiare il tecnico) ad un gruppo che a Monopoli è crollato con fin troppa facilità? In tal senso, il turno di riposo imposto dal calendario cade quanto mai a fagiolo. Da questa notte al prossimo impegno, in programma sabato 3 marzo al “Massimino” contro il Siracusa dell’ex Paolo Bianco, i rossazzurri avranno modo di lavorare e di salvare baracca e burattini. Il tempo c’è, ma non bisogna sprecarlo. Quindi, ora o mai più...