#Top11 - PRESIDENTE: Massimino

 

Ultima puntata del progetto editoriale realizzato in onore del Catania '46 con Tutto il Catania minuto per minuto e Quelli del '46

La presentazione del progetto

Le scorse puntate: Vavassori, Álvarez, Legrottaglie, Stovini, Vargas, Szymaniak, Hansen, Prenna, Danova, Mascara, Spinesi, Di Bella.

PRESIDENTE: Angelo Massimino
Di Angelo Massimino è stato già detto e scritto tutto e aggiungere una sola virgola non sposterebbe alcunché in merito al ruolo iconico che la tifoseria gli ha riconosciuto dopo la sua dipartita. Ci limitiamo ad evidenziare che, se nel caso di calciatori ed allenatore abbiamo cercato di individuare i profili che hanno lasciato il segno più tangibile in terra etnea, utilizzando il medesimo criterio non si può che eleggere il Cavaliere quale Presidente per antonomasia della storia rossazzurra. Ciò è dovuto non tanto ai risultati, decisamente inferiori rispetto a quelli di altre due gestioni societarie, ma alla smisurata passione che ha caratterizzato la sua presidenza, culminata nella battaglia giudiziaria che, nell’estate del 1993, scongiurò la radiazione, salvaguardando la matricola federale e dando l’inizio ad un percorso identitario che compattò l’ambiente attorno alla squadra, dando inizio ad una scalata senza precedenti nella storia del calcio italiano. Per solo scrupolo di completezza, aggiungiamo brevi cenni sui momenti significativi del suo rapporto col Catania: i finanziamenti apportati negli anni ’50, in un periodo di crisi finanziaria del club, pur non ottenendo alcuna carica sociale; il suo insediamento in qualità di presidente, col quale coronò il sogno di una vita, nell’autunno 1969; la promozione in A conquistata al primo colpo, con tanto di storico svenimento per la troppa emozione nel match decisivo a Reggio Calabria; i primi insuccessi sportivi che portarono ai primi conflitti con tifosi e stampa, che ne chiesero ed ottennero la testa nell’ottobre 1972, salvo poi riaccoglierlo un anno e mezzo dopo per raccogliere i cocci della gestione “politica”; le battaglie in Serie C degli anni ’70, con l’epica promozione del 1975 e le delusioni nei successivi, concitati, campionati; la magica stagione della promozione in Serie A, ottenuta negli spareggi di Roma nel giugno 1983; i fallimenti degli anni successivi, dovuti a scelte sbagliate (come la separazione con Bulgarelli), che incrinarono nuovamente i rapporti con la piazza e portarono alla cessione alla cordata capeggiata da Attaguile dopo il capitombolo in C; il ritorno a furor di popolo nel 1992, ancora una volta per riparare i danni creati da altri e salvare la baracca; gli ultimi anni in prima linea, nonostante il progressivo aggravamento delle sue condizioni di salute, col chiodo fisso di riottenere quella C1 che era stata ingiustamente scippata al suo Catania, fino all’incidente stradale che ha posto fine alla sua vita terrena, proiettandolo nel mito.

Angelo Massimino insieme alla meteora Luvanor 



Gli altri. Mettendo su una bilancia i pro e i contro delle due proprietà che hanno regalato al Catania gli anni migliori, appare congruo accordare un giudizio più favorevole ad Ignazio Marcoccio. Il suo fu un esempio ante litteram di amministrazione illuminata di una società di calcio. Era il delegato provinciale del CONI quando, nel 1959, il presidente della Lega Calcio lo nominò commissario straordinario del club etneo, al fine di mettere ordine nei conti disastrati della società. Marcoccio, coadiuvato dai dirigenti Giuffrida e Stazzone e dal tecnico Di Bella, costruì un miracoloso e bellissimo giocattolo, portando immediatamente il Catania in massima serie e resistendovi per sei anni, durante i quali la situazione economica rifiorì, si raggiunsero ottimi piazzamenti (tre ottavi posti come miglior risultato), si portarono alle falde dell’Etna grandi giocatori, anche di fama internazionale, e ci si tolse lo sfizio di battere diverse volte le big del calcio italiano, scrivendo grandi pagine di storia come quella del “Clamoroso al Cibali”. Quando la gestione societaria dei club calcistici cambiò radicalmente con l’imposizione, da parte della Federazione, della trasformazione in società per azioni, fece un passo indietro, non riconoscendosi più in quel mondo.

Marcoccio (a destra) ritratto accanto a Di Bella sul murale del "Massimino" 



Dal punto di vista dei risultati, si può dire che Antonino Pulvirenti per certi versi ha fatto anche meglio, non tanto in termini di posizionamento (eguagliato l’8° posto, raggiunto in una sola occasione), ma di lunghezza del ciclo in Serie A, ben otto stagioni consecutive (dal 2006 al 2014), dopo aver riportato il Catania in massima serie dopo 22 anni. Anche durante il suo periodo, col contributo determinante del braccio destro Pietro Lo Monaco, si sono ammirati alcuni tra i più grandi giocatori della storia rossazzurra e si sono vissuti momenti memorabili. Pulvirenti, però, ha poi commesso imperdonabili errori, dando il benservito nella tarda primavera del 2013 a Gasparin ed affidando la gestione societaria al disastroso Cosentino, per poi rendersi protagonista dei tentativi di combine che sono costati al Catania il capitombolo in C nell’estate 2015, oltre ad una macchia indelebile. Inoltre, a differenza di Marcoccio, non si è fatto da parte quando era giunto il momento di farlo, in virtù delle gravi difficoltà della propria holding, portando il club sull’orlo del fallimento, poi materializzatosi durante la gestione Sigi.

Antonino Pulvirenti nella sua rituale posizione a bordocampo 



Sono pochi altri i grandi protagonisti delle stanze dei bottoni del Catania. Seguendo un ordine cronologico, partiamo da Lorenzo Fazio, che portò i rossazzurri per la prima volta in B nel 1949, grazie ad una battaglia giudiziaria contro l’Avellino che sfociò nell’esito da lui profetizzato subito dopo lo spareggio promozione perso con gli irpini: “Abbiamo perso sul campo, vinceremo a tavolino. Viva Sant’Agata!”. Dopo Fazio arrivò Arturo Michisanti, imprenditore romano con interessi economici nella città dell’Elefante, che fu il primo a varare un programma ambizioso che puntava alla massima serie, sfiorata con lo spareggio promozione disputato nel luglio 1953 col Legnano, dopo il quale si dileguò lasciando un club fortemente indebitato a causa dei suoi ingenti investimenti. A correre ai ripari ci pensò Giuseppe Rizzo, che - con una parabola simile a quella successiva di Marcoccio - mise ordine ai conti ed ottenne immediati ed inattesi risultati, portando il Catania in A (per la prima volta nella sua storia) al primo tentativo e mantenendo la categoria con una tranquilla salvezza nel 1954/55, prima che il famigerato “Caso Scaramella” interrompesse la magia. Dopo i lunghi periodi marcocciani e massimininani, intervallati da sciagurate gestioni, a raccogliere l’eredità del Cavaliere dopo la sua morte fu la sua famiglia, con la moglie Grazia Codiglione che assunse la presidenza e dopo tre anni riuscì nell’intento che stava tanto a cuore al marito: ritornare in C1. Gli eredi Massimino, dopo un anno in terza serie, ebbero anche il merito di vendere il Catania ai Gaucci, lasciando in tal modo la società ad imprenditori dalle ottime prospettive che nel giro di un paio di anni riportarono in Catania in B. Fu Riccardo, figlio di Luciano (presidente del Perugia), ad insediarsi alla guida del club, conducendo insieme al padre nell’estate 2003 una grande battaglia giudiziaria che salvaguardò il mantenimento della cadetteria. Un anno dopo, la cessione a Pulvirenti.