Ritratto (imperfetto) del tifoso rossazzurro

Luca Parmitano, rossazzurri nell'universo

Luca Parmitano, rossazzurri nell'universo 

Il ritratto del tifoso rossazzurro è imperfetto, come imperfetto è ogni vero legame con qualcosa.

Il ritratto del tifoso rossazzurro è sempre imperfetto, come i bordi del sole estivo al tramonto. La sua dura gavetta, tra campi da gioco al limite del raggiungibile e del praticabile, gli ha forgiato addosso qualità che lo rendono quasi sempre ben riconoscibile. Diffidente per natura, curioso per tradizione; ama le certezze con un occhio alla novità. Ha l’accortezza dello scalatore dilettantistico e la malizia di chi la sa lunga dalla serie C in su.
Basta davvero poco per deprimerlo, ancora meno per esaltarlo. Conosce i segni dei tempi e sa leggerne (quasi sempre) profeticamente l’evoluzione: per lui la prima partita in casa dell’anno è quella decisiva, già fondamentale per indovinare le sorti dell’intero torneo. Se sbaglia il pronostico farà di tutto per dimenticarsene, ma se lo centra rivendicherà, a dismisura, i suoi meriti. In fondo il campionato si gioca più fuori che dentro il rettangolo verde e lui ne è il grande protagonista: ogni minuto passato a rincorrere la palla è anche il suo, fatto di imprecazioni, tachicardia e bisbigli votivi (rigorosamente a S.Agata). Allo stadio petto in fuori, con maglietta rossazzurra sbracata, un po’ stretta, di qualche anno addietro. La sua appartenenza calcistica è sempre fuori tempo. Importa poco, infatti, che il nome del bomber sul retro maglia sia ormai un ricordo fuori quota (in Qatar?). Quel che conta di più per lui è la sinfonia, non tanto l’interprete.

Per il tifoso catanese la passione calcistica è come un documento d’identità alla dogana, si mostra e se ne parla sempre, in ogni dove e senza paura. Se necessario anche dall’universo, come recentemente ha fatto l’astronauta etneo Luca Parmitano fotografandosi dallo spazio con la casacca rossazzurra. Discrezione degna di un elefante (e che altro animale poteva essere?) e generosa ospitalità da far invidia al miglior oste italiano. I supporters viziano il veterano e gongolano per il nuovo arrivo: lo esaminano con trepidazione e lo acclamano con speranza.

Frettolosi nei giudizi negativi, ripugnano chi li conferma e amano chi li smentisce in campo. Per loro un’opportunità di riscatto è poca. Due sono troppe. Ma se vedono sudore e fatica apprezzano e perdonano, ribattezzando i giocatori con affettuosi nomignoli in dialetto siciliano. Perché “u Catania” è un’importante estensione della vita quotidiana di molti tifosi, a cui spesso affidare sogni, disagi e speranze. È un bene prezioso a cui non ci si può e non ci si deve abituare, come nelle grandi storie sul grande palcoscenico: le rivedresti di continuo. Quello della serie A è invidiabile, merita entusiasmo e fame di conquista. Sempre. Perché il tifoso dopo tanti anni di C (attuale Lega Pro) diventa prudente, in B ambizioso, in A un po’ ingolfato, come dopo aver mangiato un arancino al ragù ogni mattino per otto giorni di seguito.

Il ritratto del tifoso rossazzurro è imperfetto, come imperfetto è ogni vero legame con qualcosa. Non ci sono canoni definiti, solo bisogno di appartenere autenticamente per essere. Non esiste un ritratto perfetto, neanche il più grande pittore c’è mai riuscito: la sbavatura stuzzica, l’imperfezione attrae sempre. Ci si allontana, si critica, si diffida ma se si ama veramente lo sguardo non può andare mai altrove.
Le disapprovazioni e le contraddizioni, così come il sostegno, sono la spinta verso una conoscenza sempre nuova, verso un amore che alimenta incessante la sua passione. La tramanda con forza, imperfetta, illogica, in attesa di rinnovate avventure.