Melior de cinere surgo!

Fieri di essere catanesi...

Fieri di essere catanesi... 

Max Licari sul caos giudiziario che coinvolge il Catania. Focus: fierezza nella lotta per la difesa del patrimonio sportivo.

In trincea a lottare!
Avrei potuto dare inizio a questo mio intervento dando sfogo allo sconforto, al rammarico, alla sacrosanta bile, all’adamantina indignazione, all’invettiva liberatrice e “depurativa”. Avrei, soprattutto, potuto cominciare dal fatalismo più nero, dall’amara dolcezza dell’autodistruzione tipica dei momenti più bui della nostra vita. Ma no, non è nella mia indole, non ce la faccio. Talora lo vorrei, vorrei essere un Thomas Hardy redivivo e recitare: “C'è chi ritiene che, se esiste una via che porta al meglio, questa richiede una bella occhiata al peggio”. Ma non sarei io. Non saremmo noi. Non sarei catanese. Non sarei amorevole alunno di Mamma Etna. Non sarei uno dei globuli rossi che scorrono nel sangue del Liotru. Non sarei figlio di una città che ha nel proprio destino, nel proprio dna, la vocazione a cadere e subito rialzarsi, a distruggersi e ricostruirsi, in un eterno ciclo di corsi e ricorsi storici che ne fanno un “unicum” al mondo. È vero, di Catania ce n’è solo una. E io sono orgoglioso che i miei personalissimi Dei abbiano voluto gratificarmi dell’onore più grande: far sì che nascessi nel suo splendido grembo, un grembo di fuoco, di lavica passionalità, di incontrastabile, quasi inconsulta vocazione all’amore puro. Un amore che, tradito, può trasformarsi in furia inarrestabile. Sono fiero di essere catanese. Fiero. Questo orgoglio non potrà essere intaccato da niente e nessuno. E sono sicuro che questa mia “condizione” sia quella vissuta dalla maggioranza dei veri tifosi rossazzurri; senza dubbio, da parte di quelli che si sono riversati nelle vie del centro cittadino a gridare con rabbia il proprio amore, la propria voglia di giustizia, il proprio attaccamento a un simbolo che nessuna ondata di fango “endogeno” e nessun tentativo di strumentalizzazione “esogeno” potrà mai distruggere. Proprio per questo, il primo pensiero va alla parte vera, alla tifoseria etnea offesa, delusa, incazzata, ma pronta a lottare, come sempre, in prima linea, senza paura, senza vergogna, consapevole della propria forza dettata dalla pulizia interiore. Io sento forte lo “spirto guerrier ch’entro mi rugge”, lo stesso spirito indomito che anima il catanese vero. Questa ulteriore “mazzata” lo ha rinverdito, nuovamente alimentato, rafforzato. Sono, siamo pronti alla battaglia, perché è una battaglia giusta, la battaglia di chi può camminare a testa alta. La Catania calcistica ha vissuto momenti tragici, a cominciare dalla tristissima estate del ’93, dai quali sempre è riuscita, senza l’aiuto di nessuno, a ritornare in auge più forte di prima. Come l’Araba Fenice risorgeremo anche questa volta, al di là della categoria, al di là di tutto.

Fine ingloriosa di un’era
La vicenda attuale ha una caratteristica “nuova”: la società calcistica, il mitico “Catania 1946”, purtroppo, non è più “parte lesa”; oggi sta dall’altra parte, quella che abbiamo sempre rifuggito, quella in cui, con orgoglio, abbiamo sempre pensato di relegare gli altri. Di questo dobbiamo prenderne atto, con severa onestà intellettuale e intransigente rigore. Per far sì, quindi, che la battaglia abbia una credibilità assoluta, dando un senso a tutte le sacrosante mobilitazioni di piazza che altrimenti rimarrebbero solo fuochi non alimentati, dobbiamo partire da un’attenta analisi della nostra situazione, per non fare la figura di chi cerca la pagliuzza nell’occhio degli altri senza accorgersi della trave confitta nel proprio. Nessun tentativo di ridimensionamento a fini di parte, pertanto. Già le intercettazioni sembravano profilare un quadro grave della situazione di Nino Pulvirenti e Pablo Cosentino, adombrando l’ipotesi del reato di frode sportiva con l’aggravante della reiterazione, portandosi dietro il pericolosissimo “surplus” costituito dalla connessa “vicenda scommesse” (con Impellizzeri personaggio chiave). L’interrogatorio di garanzia di lunedì mattina ha inferto la mazzata definitiva a ogni ipotesi “giustificazionista”: le ammissioni di Pulvirenti in merito alla compravendita di cinque partite a 100.000 euro cadauna (con relativa negazione di ogni coinvolgimento nella vicenda scommesse) scrivono a lettere di fuoco la parola fine, una fine ingloriosa, alla sua avventura catanese. The End. Dieci anni di successi cancellati da due stagioni di autentica, suicida schizofrenia gestionale, tecnica e comunicativa conclusesi nel modo più vergognoso. Pablo Cosentino, il protagonista della “svolta aggressiva” voluta da Pulvirenti all’indomani della defenestrazione di Gasparin, pur cercando in un clima da “si salvi chi può” di venir fuori con il minor danno possibile da un "affaire" in cui rimane coinvolto, può e deve essere considerato moralmente co-responsabile del disastro finale. Da sottolineare, inoltre, a dimostrazione di come in certe situazioni anche le amicizie apparentemente più solide possano “scricchiolare”, che il procuratore argentino, nell’ambito di legittime dichiarazioni di estraneità agli illeciti, abbia addirittura dato dell’eventualmente “folle” a Pulvirenti, contestualmente dimettendosi (un giorno prima che scadesse il contratto!) dalla carica di A.D. e sostanzialmente rendendosi pronto a non mettere più piede a Catania. Si può, comunque, considerare tragicamente fallimentare il suo operato, il peggiore della storia del Catania. Senza “se” e senza “ma”. La storia non può essere cancellata. A ciò si aggiunga il danno d’immagine ricevuto dalla società: incalcolabile; basti pensare a ciò che ha prodotto a livello internazionale la “saga dei treni”… Insomma, al di là della vicenda giudiziaria in sé medesima, è impensabile che entrambi possano anche solo immaginare di avere un futuro nel calcio italiano. Oltre tutto, l’aria che tira, pure sulla base delle ultime decisioni della FIGC in tema di inasprimento delle pene in caso di reati simili (non dotate di retroattività, a quanto pare, ma sicuramente indice di un “trend”), fanno pensare addirittura a ipotesi di radiazione (che, sottolineo per evitare equivoci, è esclusa per le società) ai danni dei dirigenti responsabili, più che di lunga inibizione (come ai tempi del “caso Genoa”, per intenderci). Pulvirenti rischia seriamente l’embargo dal calcio, dunque; mentre la società, per responsabilità oggettiva, sarà duramente penalizzata. La giustizia sportiva agirà in tempi brevi e appare naturale attendersi una batosta, al momento ipotizzabile in una sicura retrocessione in Lega Pro, senza escludere una forte penalizzazione.

Pagare. Ma pagare il giusto
Dobbiamo essere pronti a pagare, perché ci sarà da pagare. È giusto che si paghi. Ma pagare, appunto, ”il giusto”, rigettando con forza le consuete e ipocrite campagne di sciacallaggio proposte da chi fa finta che la compravendita di partite nel calcio italiano possa essere un cancro circoscritto a questa o quella società malversatrice, a questo o quel dirigente corrotto, a questo o quel giocatore fuori dal coro. La storia ci dice che non esiste nessun “Sistema Catania”, ma un articolato meccanismo in cui gli attuali dirigenti del Catania si sarebbero, a quanto pare, inseriti con particolare protervia. Addossare tutto al Catania, far pagare solo i tifosi rossazzurri senza scavare fino in fondo sarebbe un errore gravissimo, un errore potenzialmente fatale per il calcio italiano. Di contro, sarebbe necessario trarre spunto da questa ignobile vicenda per poter finalmente riformare un sistema malato, che tutti, tutti “sanno” essere allo stato terminale. E noi dobbiamo lottare affinché questo avvenga. E lo faremo, senza tema. Catania pagherà, ma dovranno pagare tutti coloro che si sono serviti di questo perverso sistema. La mia impressione è che l’inchiesta presto si allargherà a macchia d’olio, coinvolgendo una pluralità di soggetti. Come lo stesso Abodi ammette: “I nomi in ballo iniziano a essere troppi“. Vigileremo affinché nessuno possa avere anche solo la tentazione di minimizzare o tracciare “recinti”.

Il vero problema
Il problema reale, però, non è questo. La categoria, qualunque sia, non ha mai spaventato il tifoso catanese. Il problema è la società stessa. Come detto sopra, Pulvirenti e Cosentino si sono tagliati i ponti con il calcio italiano e con l’ambiente stesso catanese. Credibilità zero. Game over. Gli intendimenti dei tifosi, della stragrande maggioranza dei tifosi, sono abbastanza chiari: nessun futuro con questa proprietà. Questa squallida vicenda ha inferto il colpo di grazia a un rapporto già quasi irrimediabilmente compromesso da due anni di incomprensibile e autolesionistica gestione. I tifosi si sentono traditi e il prezzo da pagare è proprio l’irreversibilità del sentimento. In ogni caso, Pulvirenti non avrebbe alcuno spazio “territoriale” per poter in qualche modo continuare la sua avventura. Detto ciò, la questione si ingarbuglia. Sappiamo bene che, anche in caso di volontà di cessione, vendere il Catania non sarebbe facile perché, se paradossalmente il decremento del valore della società e del parco giocatori dovuto alla retrocessione possa essere di qualche d’aiuto, il valore patrimoniale di Torre del Grifo, peraltro gravato da svariati milioni di mutuo ancora da versare, costituisce un freno economico assai rilevante. Ma una soluzione va trovata.

Serietà e rigore
Esiste al mondo un soggetto che abbia la voglia di fare una scommessa così onerosa? Il mio auspicio è che la risposta sia affermativa. La società civile catanese dovrà fare di tutto affinché si riesca nell’autentica “impresa” di reperire un interlocutore serio in grado di garantire il futuro del calcio a Catania. Senza, però, le manfrine tipiche di queste vicende già “esperite” in città come Bari o Parma, per esempio. Mi sia consentito: sulla base delle esperienze pregresse, mi vengono i brividi quando sento di appelli di sindaci, di proposte e richieste bislacche e inconcludenti, di cordate non meglio precisate, di personaggi improbabili pronti a “salvare” il Catania. Non abbiamo bisogno di ulteriori umiliazioni. Non potremmo sopportarlo. Necessitiamo di serietà. E l’unica cosa veramente seria che al momento individuo in tutta questa faccenda è la genuina passione della gente catanese. Passione, purtroppo, non “piccioli”. E senza quelli si rischia il fallimento. Parliamoci chiaro, la paura della mancata iscrizione pare essere superata dalle recentissime notizie provenienti dal CdA (Milazzo, ex A.D., "Amministratore Unico", con azzeramento contestuale del vecchio consiglio), Ma le paure e le urgenze permangono. Pagamenti, stipendi, espletamento di tutte le operazioni di mercato di prima necessità, trattative che coinvolgono diversi calciatori. Di tutto. Se ciò non verrà fatto, il rischio disastro totale, capace di coinvolgere l'esistenza stessa della mitica matricola del 1946, diverrà reale. Rimanere in attesa, con l’auspicio che si riesca a trovare un interlocutore credibile in grado di rilevare la società e garantirne il futuro: questa, al momento, l’unica strada onestamente percorribile. Strada assai erta e sconnessa, come si dice dalle nostre parti “scaffi scaffi”…

Certezza
Almeno una cosa è sicura, sicura come la Grande Falciatrice:
Noi ci saremo sempre, anche in Serie Z. Il sangue del l’Elefante non si guasta mai. Mai.
Let’s go, Liotru, let’s go!!!