Giù le mani dal Tribunale

 

Chiarimenti in merito ad alcuni aspetti contestati a chi si è occupato del tentativo di liquidazione del ramo d'azienda.

Nel marasma generale provocato dalla revoca dell'affiliazione del Catania disposta dalla Figc con contestuale esclusione dal campionato di Serie C 2021/22, negli scorsi giorni si è scatenata la più classica delle cacce all'untore, cercando di trovare responsabili ulteriori rispetti a quelli reali, già certificati dalla sentenza di fallimento. Si è assistito ad improperi rivolti a quei tifosi che in buona fede avevano creduto (o perlomeno sperato) in Mancini, oltre alle solite critiche verso la stampa (stavolta sicuramente infondate, atteso che nessuna testata di rilievo in questi mesi ha dato credito al romano).
In particolar modo, è riemersa una tendenza già affiorata un anno fa con riferimento ai guai Sigi, ovvero quella di scagliarsi contro il Tribunale e contro le sue scelte. Atteggiamento, questo, figlio sicuramente della rabbia suscitata dal momento storico, di una scarsa se non nulla conoscenza delle norme giuridiche e, soprattutto, del cronico vizio di valutare i fatti col senno di poi, decontestualizzandoli e destoricizzandoli, dimenticando la successione logica e cronologica degli stessi.
Scendendo nel dettaglio, le critiche che sono state mosse nei confronti dell'autorità giudiziaria riguardano due distinti aspetti: il primo è relativo ad un presunto atteggiamento di favore accordato dal Tribunale a Mancini nel corso della procedura di vendita; il secondo riguarda invece la - secondo alcuni inopportuna ed inspiegabile - cessazione dell'esercizio provvisorio. Pur non essendo in possesso delle carte processuali, che chiarirebbero in modo ancor più compiuto tutta la vicenda, possiamo comunque gettare acqua sul fuoco spiegando quel che è accaduto ed illustrandone le relative ragioni. Con una premessa che vale per entrambi i quesiti e che deve essere ben stampata in mente: la funzione precipua del Tribunale era quella di liquidare il ramo d'azienda sportiva in seno alla procedura fallimentare del Calcio Catania, al fine di meglio tutelare gli interessi dei creditori.

Dal Tribunale nessun favore a Mancini
Il "pasticciaccio Mancini" è nato in occasione della seconda asta per la cessione del ramo d'azienda, prevista per il 4 marzo ed andata deserta come la prima. Sorvolando sulle giustificazioni addotte da Mancini circa il mancato tempestivo perfezionamento dell'offerta in tale circostanza, il dato di fatto è che l'indomani, 5 marzo, il romano ha fatto pervenire ai curatori una manifestazione d'interesse, corredata dal deposito di una cauzione dello stesso importo che era previsto dal bando di vendita, impegnandosi a formulare un’offerta irrevocabile di acquisto al prezzo di € 500.000,00 (pari al prezzo base dell’ultima gara andata deserta) e nel rispetto delle condizioni e dei requisiti fissati nel precedente avviso di vendita.
Il compito dei curatori e del giudice delegato, lo si ripete, non era quello di investigare su Mancini, ma quello di coltivare, sino a quando era possibile prolungare l'esercizio provvisorio, la possibilità di una liquidazione del ramo d'azienda. Disporre in quel momento la cessazione dell'esercizio provvisorio, negando a Mancini la possibilità di rilevare l'azienda nonostante la presentazione di una manifestazione d'interesse corredata da cauzione, sarebbe stato antitetico rispetto agli interessi perseguiti, oltre che suscettibile di azioni di responsabilità (per negligenza) nei confronti dei curatori. Ed infatti è stato opportunamente disposto il prolungamento dell'esercizio provvisorio con l'approntamento di una nuova procedura di vendita con la formula dell'invito ad offrire.
A confermare che i curatori non hanno in alcun modo agevolato Mancini sono state, poi, le vicissitudini relative alla stipula del rogito notarile, che avrebbe dovuto avvenire in seguito alla procedura di vendita del 15 marzo. In tale circostanza, i professionisti nominati dal Tribunale, unitamente al notaio Grasso, hanno vigilato sulla bontà dell'operazione pretendendo che la stessa avvenisse secondo i dettami di legge, che Mancini non è riuscito a soddisfare nei termini a lui assegnati, rendendosi inadempiente all’obbligo di pagamento integrale del corrispettivo.

Stop all'esercizio provvisorio, una scelta inevitabile
Si è arrivati così al tristissimo epilogo di sabato 9 aprile. Tristissimo, ma inevitabile. La cessazione dell'esercizio provvisorio si sarebbe potuta evitare soltanto se vi fosse stata la possibilità di liquidare il ramo d'azienda sportiva. La (sacrosanta) dichiarazione di decadenza dell'offerta di Mancini ha posto i curatori di fronte ad un drammatico enigma: con quali risorse e sulla base di quali prospettive chiedere al Tribunale di prorogare l'esercizio provvisorio? Venuto meno l'unico soggetto che si era fatto avanti, le possibilità di vendita si erano azzerate. La tutela dell'interesse dei creditori era preminente rispetto all'interesse di far concludere il campionato alla squadra, aspetto, questo, che non è di diretta pertinenza della curatela.
Curatela che comunque ci ha provato in tutti i modi, mediando coi tesserati sugli stipendi e chiedendo un contributo alla Lega. Quest'ultima sarebbe stata l'unica soluzione che avrebbe giuridicamente giustificato una proroga pur in assenza di soggetti interessati all'acquisto, perché non avrebbe intaccato le risorse della procedura e pertanto non avrebbe recato alcun danno ai creditori. La strada dei contributi spontanei di alcuni soggetti privati non era percorribile, perlomeno non da sola, in quanto priva di analoga "giustificazione". C'è chi non ha condiviso il tentativo esperito dai curatori con la Lega, ma indipendentemente dal fatto di essere d'accordo o meno si tratta pur sempre di un fatto che dimostra l'esatto contrario di ciò che alcuni hanno contestato, cioè di aver indebitamente ed anticipatamente rotto un giocattolo. In realtà, il giocattolo era già stato rotto da tempo da altri ed il Tribunale ha cercato in ogni modo, fino alla fine, di ripararlo. Per quanto possa fare male, onestà intellettuale impone di riconoscere che il 9 aprile qualunque professionista di settore si fosse trovato al posto di chi ha operato, non avrebbe potuto effettuare una scelta differente.