EpiStolando - Tra fughe inesistenti, corto musi, codazzi e recriminazioni storiche

Il presidente Pelligra immortalato davanti ai tifosi etnei a Castrovillari

Il presidente Pelligra immortalato davanti ai tifosi etnei a Castrovillari 

Temi rossazzurri raccontati ad un lontano interlocutore.

Caro Tino, non ci sentiamo da un po’, ma non ho avuto il tempo per scriverti e in verità non c’è stato granché da dirti. Adesso però si sono accumulate un po’ di cose sulle quali aggiornarti, quindi mettiti comodo.

 

Campionato inesistente, un anno sprecato

In prima battuta dovrei dirti che il Catania sta proseguendo a gonfie vele la propria fuga, sebbene io ritenga che, escluso il primissimo scorcio di stagione in cui vi era una parvenza di competizione grazie al rendimento del Lamezia, in realtà il campionato non sia mai esistito ed i rossazzurri, che fanno un torneo a sé, non stiano proprio scappando da nessuno. L’enorme divario economico e tecnico che emergeva già la scorsa estate si è riverberato sul campo. Un anno sprecato: per il Catania, che proveniva dalla C e che dalla C avrebbe potuto ripartire; per le avversarie e per la stessa Serie D. Ma gli etnei, nello spreco, hanno parimenti trovato quel guadagno già testato in altre piazze dal simile rango e dall’uguale destino (Bari, Palermo, ecc.): una nuova proprietà in grado di riportare l’entusiasmo (e quindi i tifosi allo stadio) e di regalare nuove prospettive di gloria. Certo, nel caso del Catania si è dovuto pagare un fio che da altre parti neanche esisteva, ma ho l’impressione che sia rimasto un cruccio di pochi.

 

I meriti di società, squadra…e del “corto muso” del mister

Allo stesso tempo, Tino, sarebbe intellettualmente disonesto non riconoscere che se non è esistito un campionato lo si deve all’incredibile lavoro svolto da società, staff e gruppo squadra. Da un lato, la dirigenza ha messo a disposizione del tecnico molto di più di ciò che serviva per vincere un campionato; i giocatori, chi più chi meno, hanno dato il loro contributo; e poi c’è lui, mister Ferraro, che ha gestito la stagione pensando unicamente al risultato, partita dopo partita. Con una rosa così ampia, anche per ragioni di equilibri di spogliatoio, avrebbe potuto porsi il problema di ricorrere ad un maggiore turnover. Invece no: ha individuato il “suo 11” e quei due-tre cambi a partita in corso e al netto delle contingenze del momento è andato avanti per la sua strada, senza farsi condizionare da quelle critiche al gioco che di tanto in tanto affioravano. Su 20 vittorie, il Catania ne ha collezionate 8 col minimo scarto, spesso soffrendo. Ma grazie a quel “corto muso”, si è costruito un tesoretto col quale ha distrutto il campionato: se al posto di quegli 8 successi con un solo gol di vantaggio fossero arrivati 8 pareggi, i rossazzurri avrebbero 16 punti in meno ed un solo punto di vantaggio sulla seconda.

 

Ferraro e le conferenze improntate sulla massima prudenza

Non escludo che quest’approccio estremamente concreto sia stato trasferito dal mister anche nelle conferenze stampa pre-partita. In tali occasioni, la prudenza e la reticenza di Ferraro hanno raggiunto vette inimmaginabili. Su eventuali ballottaggi o sull’impiego del giocatore X piuttosto che del giocatore Y, la risposta è sempre stata “valuterò dopo la rifinitura”. Sul recupero di infortunati, “domani faremo la riunione con lo staff medico”. Persino in un caso di risposta praticamente scontata (“giocherà Boccia – unica alternativa di ruolo – al posto dello squalificato Rapisarda contro il Castrovillari?”) non ha inteso replicare in senso affermativo. Evidentemente il perfezionismo del mister nell’ottica di non voler rischiare nulla si è esteso anche alla volontà di non concedere alcun vantaggio agli avversari, nonostante il Catania, in virtù della propria schiacciante superiorità, avrebbe potuto permettersi di consegnare il proprio piano tattico all’allenatore di turno. Di fronte a questo quadro, caro Tino, pensa che c’è chi ha avuto il coraggio (o l’imbecillità, fai tu) di puntare il dito sulle domande rivolte dai giornalisti, quando neanche la reincarnazione di Camilla Cederna avrebbe potuto cavare un ragno dal buco.

 

Il codazzo che segue Pelligra genera (sterili) polemiche e divisioni

Un altro aspetto su cui devo aggiornarti riguarda i giorni trascorsi dal presidente a Catania nel periodo delle festività agatine. La presenza saltuaria di Pelligra in città fa sì che ogni suo ritorno è intriso da un’aura di fibrillazione che anche stavolta non è mancata. Abbiamo assistito ad una corsa ai selfie, alle strette di mano, alle riunioni ed al presenzialismo che ha fatto discutere. In particolar modo quella di esponenti politici in odor di candidatura alle prossime elezioni amministrative, ma anche quella di giornalisti sportivi che hanno seguito come dei segugi Pelligra anche in occasione di manifestazioni che con lo sport non avevano nulla a che vedere ed alle quali, in passato, non si erano mai presentati. Personalmente, Tino, prendo le distanze da chi di fronte a queste scene si è stracciato le vesti gridando allo scandalo. Non fosse altro perché, da che mondo è mondo, va così: i politici cercano ogni occasione di visibilità, i giornalisti pedinano “il potere”. Premesso ciò, che tali fenomeni possano quantomeno far storcere il naso, ci sta. Ma in fin dei conti dubito che gli elettori votino sulla base di un selfie, o che i lettori seguano una testata per motivi diversi dalla qualità dei contenuti proposti. Quindi è superfluo strapparsi i capelli. Quel che è certo è che se da un lato Pelligra ha unito la tifoseria nella gratitudine e simpatia verso la sua persona, allo stesso tempo rischia di creare indirettamente fazioni e gelosie a seconda dei soggetti con i quali viene immortalato. E tale effetto aumenta a dismisura in un periodo di campagna elettorale: forse chi lo affianca farebbe bene a consigliargli di adottare un approccio più riservato da qui alla conclusione delle operazioni di voto.

 

“Ma non avevi detto che con un nuovo Catania non ci saresti stato?”

Spero di non abusare della sua pazienza, Tino, nel sottoporti un ultimo tema, che mi sta particolarmente a cuore. Persino in un giorno di festa come quello della vittoria col Locri (che profuma molto di promozione) ho notato che qualcuno non è proprio riuscito a resistere alla (legittima, per carità) tentazione di far polemica ironizzando contro chi, in prima linea ieri nei festeggiamenti, in passato aveva suscitato dubbi sulle possibilità di una competitiva rinascita post-fallimento o aveva promesso di non voler seguire un nuovo Catania (in alcuni casi, anche professionalmente).

Sulla prima questione, appare evidente che un anno fa, di fronte a tre bandi andati deserti ad ottime condizioni per acquistare una squadra in Serie C, persino il più ottimista avrebbe dubitato, in quel momento, sulla possibilità che si facesse avanti una proprietà solida. Ed infatti Pelligra è apparso soltanto in extremis e per quel che è filtrato ciò è accaduto in modo quasi rocambolesco, grazie ai contatti promossi tramite Scibilia. A ciò si aggiunga che nessuna delle altre manifestazioni d’interesse aveva ottenuto un largo gradimento della tifoseria e, senza Pelligra, non è da escludere che la prospettiva del nuovo Catania sarebbe stata simile a quella che si è vissuta, ad esempio, dalle parti di Messina.

Il secondo tema attiene invece a scelte e sensibilità personali che, in quanto tali, ritengo non possano essere giudicate da nessuno, men che meno da me. Rilevo soltanto che è sempre bene, in questi casi, tener conto del contesto storico – ed emotivo – in cui determinate frasi vengono pronunciate. La prospettiva del fallimento, soprattutto nel 2020, quando si confidava di evitarlo (a ragione, visto l’interesse dietro le quinte di Tacopina), generava disperazione nella maggior parte dei tifosi e determinate promesse, sebbene potessero apparire come delle forzature, erano indubbiamente funzionali allo scopo che ci si prefiggeva, che era quello di salvare il Catania ’46.

Se molti sono riusciti a “cambiare idea” ex post, penso che ciò sia stato solo un bene: in caso contrario, il nuovo corso avrebbe potuto contare su un apporto di presenze sensibilmente inferiore allo stadio (e conseguentemente su un entusiasmo più affievolito); gli utenti della stampa sportiva sarebbero rimasti orfani di testate e trasmissioni che continuano a seguire con affetto come dimostrano gli importanti numeri dalle stesse registrati. Sarebbe stato meglio il contrario? Voglio augurarmi che non lo pensi nessuno, altrimenti si scadrebbe in qualcosa di molto più basso del provincialismo, degno del peggior quadretto condominiale improntato su beceri pettegolezzi e assurde invidie.

E con questo ti saluto, caro Tino e ti rimando al prossimo aggiornamento.