EpiStolando - I paradossi del Catania

Gangi, 13 maggio 1995

Gangi, 13 maggio 1995 

Temi rossazzurri raccontati ad un lontano interlocutore.

Caro Tino,

innanzitutto tantissimi auguri di buon anno. Mi auguro che dalle tue parti proceda tutto a gonfie vele. Desidero renderti partecipe di un dibattito stuzzicante che si è sviluppato all’interno di una chat di cui faccio parte, composta da giornalisti prevalentemente giovani. Tutto è partito da alcune considerazioni offerte su un tema del momento, relativo ai rumors sulle sanzioni che potrebbero essere inflitte alle tifoserie della Roma e del Napoli a seguito degli scontri avvenuti domenica scorsa in autostrada. Si è parlato al riguardo di un possibile divieto di trasferta fino a fine campionato. “Ancora troppo poco – ha commentato uno dei componenti della chat – A noi chiusero lo stadio per mezzo campionato. E’ vero, ci scappò il morto, ma prendersi a sprangate e sassi in mezzo all’autostrada del Sole vale poco?”. Tale riflessione ha scatenato una lunga serie di ricordi personali sul 2 febbraio 2007, interrotta allorquando un altro giovane collega ha osservato: “Comunque ragazzi, a pensarci bene, a volte non ci facciamo caso, ma il Catania ha una storia molto particolare: al primo salto in A siamo stati retrocessi a tavolino per lo scandalo Scaramella; nel campionato successivo alla promozione in massima serie del 1970, è accaduta la tragedia di Limena; nella stagione 1983/84 arbitro rincorso in campo e sassaiola nel corso di Catania-Milan; nell’estate 1993 la tentata radiazione della Figc, a seguito della quale – incredibilmente – non siamo falliti; nell’estate 2003 retrocessione dalla B alla C scongiurata dopo il caos innescato dal caso Martinelli in Catania-Siena; i fatti del 2 febbraio 2007; i Treni del gol dell’estate 2015. Pensando solo a questi episodi vengono fuori pagine e pagine di storia”.

Tino, devo confessarti che ripercorrendo le vicende appena elencate mi è immediatamente venuta in mente una frase: “Siamo nati per soffrire”. Un’espressione talvolta utilizzata a mo’ di scherno nei confronti dei tifosi che, per il troppo amore nei confronti della squadra, le restavano accanto nei momenti più difficili, da chi invece anche in tali circostanze preferiva contestare, rivendicando risultati sportivi incompatibili con lo status quo. Eppure, penso che quest’espressione rispecchi davvero la storia del Catania, o perlomeno quella del Catania ’46, atteso che il nuovo Catania sembra essere nato sotto una buona stella. Infatti ho sottolineato che l’abnorme vantaggio in classifica dei ragazzi di Ferraro, se paragonato alle sofferenze vissute in passato, anche a questi livelli (vedi C.N.D. 1994/95 vinta soltanto all’ultima giornata dopo un estenuante testa a testa col Milazzo), rappresenta un’anomalia alla quale, almeno per me, è difficile abituarsi. “Vedi che invece dev’essere la normalità questa – mi ha risposto un altro – In Serie D non puoi soffrire”. Un’affermazione perentoria che mi ha suscitato degli interrogativi. Cosa si intende per “soffrire” in Serie D? Se si intende non lottare per vincere il campionato, beh, certo, una piazza come Catania, tanto più con una proprietà del genere, non se lo potrebbe proprio permettere. Se invece la sofferenza viene interpretata quale risicato vantaggio in classifica, che comporta comunque una vittoria – seppur sofferta – del campionato, allora non sono d’accordo.

E per spiegarmi, Tino, mi ricollego a delle considerazioni che avevo fatto a inizio stagione, allorquando avevo scorto il paradosso che accompagna il Catania 2022/23: da un lato vi era una squadra obbligata a vincere, non solo per blasone ed ambizione, ma anche per l’enorme divario tecnico ed economico con le avversarie; dall’altro, il fatto che i campionati non si vincono tramite i bookmakers, ma vanno disputati e conquistati sul campo, del resto la storia del calcio insegna che è raro assistere a dei veri e propri domini da parte delle fuoriserie e che nella maggior parte dei casi queste ultime hanno dovuto faticare per centrare i propri traguardi, venendo persino beffate alcune volte da rivali meno accreditate. Nel caso specifico dell’attuale Catania, poi, vi erano diverse incognite da testare, come l’adattabilità di giocatori di categoria superiore ad un campionato da loro poco conosciuto (alcuni di loro, in effetti, stanno rendendo al di sotto delle aspettative), o il concreto apporto di un tecnico che aveva maturato ottime esperienze ma in altri contesti territoriali e non si era mai messo alla prova in una piazza del calibro di quella etnea. Interrogativi che sono stati presto ridimensionati dal prezioso lavoro di Ferraro che, operando necessari sacrifici di organico, ha trovato in poche settimane la quadra, agevolato nello scioglimento nel nodo under dall’eccellente lavoro svolto in tale ambito dal ds Laneri, che gli ha messo a disposizione due giovani del calibro di Castellini e Vitale, i quali hanno risolto buona parte degli enigmi di formazione. Il resto è stato compiuto dalla qualità superiore degli over che si sono calati bene nella categoria, facendo la differenza ognuno nel proprio reparto. E soprattutto dalla manifesta assenza di avversarie all’altezza della situazione. Ma ritengo che se il Catania avesse ingranato meno e se avesse trovato una rivale degna di questo nome, ciò non avrebbe dovuto costituire motivo di insoddisfazione, perché this is football.

Mi accingo a concludere, Tino, estendendoti i dubbi che mi hanno accompagnato quando un collega, commentando il mio disorientamento dinanzi al dominio del Catania di oggi confrontato con la storia passata, mi ha detto: “Infatti ora a Catania serve una mentalità vincente”. Assolutamente sì, ma ne saremo all’altezza? Saremo capaci di non chiedere la testa di Pelligra ai primi playoff di Serie B persi? Di non creare polemiche e fazioni per qualunque argomento, spesso neanche strettamente connesso ai temi del prato verde? Osservando i chiari di luna, non riesco a sprizzare ottimismo da tutti i pori, ma non intendo porre limite alla provvidenza alla quale mi affido. E credo che le persone di buon senso, in questo percorso, debbano assumersi la responsabilità di promuovere usi e costumi virtuosi, isolando le mele marce. Chiudo sposando in pieno una riflessione offerta da Stefano Auteri nel corso di un recente intervento a City Zone: “Si è detto che dopo tanti anni, finalmente, possiamo ritornare a parlare di calcio. Allora parliamone, no?”. Già, parliamone, senza per ciò solo dover essere etichettati se si esprime un giudizio, positivo o negativo che sia, differente rispetto a quello della massa, o se si evidenzia un rilievo critico in un contesto estremamente lusinghiero. Ma questa è un’altra storia e per oggi abbiamo già dato e non è il caso di dilungarci.

Alla prossima, Tino.