Catania: i pro e i contro di un mercato su misura per Raffaele

Mister Raffaele

Mister Raffaele 

L'analisi del mercato condotto dal nuovo corso, caratterizzato da un modus operandi inedito.

Dopo l’eliminazione contro la Ternana ai playoff della scorsa stagione, pur con la mente ed il cuore rivolti alla problematica vicenda inerente la cessione della società ed il rischio del fallimento, l’opinione di tifosi ed addetti ai lavori sul progetto tecnico di un eventuale nuovo corso era pressoché unanime: sarebbe stato opportuno ed auspicabile ripartire da Cristiano Lucarelli e dall’ossatura della squadra forgiata dal tecnico labronico sotto il profilo tecnico, tattico e soprattutto mentale nella seconda parte del campionato 2019/20. Ciò in virtù dei risultati conseguiti negli ultimi mesi, dei progressi sotto il profilo del gioco, della crescita di alcuni elementi, della formazione di un gruppo combattivo e coeso, della ritrovata armonia con la tifoseria e con l’ambiente. E più di ogni altro aspetto, la seguente considerazione: a parte qualche lacuna (centravanti ed esterni offensivi), sembrava una squadra già pronta per lottare per le posizioni nobili della classifica. Con due-tre rinforzi di spessore nei ruoli scoperti e pochi altri per allungare la panchina nelle restanti zone del campo, il Catania si sarebbe ritrovato, sulla carta, nelle condizioni di poter affrontare una stagione da protagonista.

Rivoluzione indotta dalla personalità del tecnico e dalle esigenze societarie
Così non è stato, per i tanti motivi che conosciamo. In primis il fatto che la nuova proprietà non ha potuto garantire a Lucarelli di lottare dichiaratamente per la promozione. Venuto meno il cardine del “piano continuità”, il nuovo direttore dell’area sportiva Maurizio Pellegrino ha dato il via ad una vera e propria rivoluzione. L’ennesima, peraltro, a cui il Catania è stato sottoposto in questi lunghi anni di Serie C. Scegliendo Peppe Raffaele, Pellegrino da un lato si è garantito i servigi di uno dei tecnici emergenti più apprezzati della categoria, dall’altro però ha chiuso le porte alla possibilità di sviluppare un progetto tecnico che potesse proseguire il lavoro iniziato dal predecessore. Ciò perché Raffaele, con le sue scelte, ha dimostrato di non essere “un’aziendalista” che cerca di arrangiarsi col materiale a disposizione, ma un tecnico con idee ben precise alle quali non intende rinunciare.
Da lì, l’epurazione di elementi di spicco del vecchio corso quali Mbendé e Curcio, poiché giudicati incompatibili col sistema di gioco di base che prevede l’utilizzo di una difesa a 3 e l’assenza di un trequartista. Per certi versi misteriosa, invece, la rinuncia ad un elemento come Salandria, che sembrava sposarsi perfettamente coi meccanismi predicati dal trainer barcellonese. La decisione della società di concedere una chance ad un possibile leader dello spogliatoio quale Mariano Izco e l’ingaggio di un altro giocatore dalle caratteristiche analoghe quale Rosaia hanno evidentemente indotto quest’ulteriore scelta dal sapore prettamente tecnico. Ma non tutte le “responsabilità” sono da attribuire a Raffaele. Pellegrino, in alcune interviste, ha ammesso che la nuova proprietà aveva la necessità di sbarazzarsi di diversi contratti lasciati in eredità dalla passata gestione e giudicati “spropositati” per la categoria. Così, alle scelte tecniche si sono sommate le contingenze di natura economica che hanno portato all’addio dei vari Furlan, Mazzarani, Barisic e Curiale.

Organico su misura per il tecnico: una virtù ma al contempo un rischio
Di contro, sono arrivati ben 14 nuovi elementi. Osservando le caratteristiche degli stessi salta all’occhio come la società abbia seguito praticamente alla lettera le indicazioni del tecnico, acquistando giocatori funzionali al suo sistema di gioco: Tonucci e Claiton, difensori d’esperienza da affiancare a Silvestri nella difesa 3; Albertini e Zanchi, esterni a tutto campo, pronti a far rifiatare alla bisogna Calapai e Pinto; Maldonado, designato regista nel 3-5-2 prima che i noti problemi burocratici impedissero un suo immediato utilizzo; Izco e Rosaia, centrocampisti di quantità; Piovanello ed Emmausso, esterni offensivi adatti in caso di passaggio al 3-4-3, altro modulo caro a Raffaele; Gatto e Reginaldo, seconde punte con la necessaria duttilità per giocare sia a fianco al centravanti, sia in un tridente; Sarao, attaccante alto e forte fisicamente (come Murano e Lescano, allenati da Raffaele a Potenza), in grado di difendere il pallone, far salire la squadra e agevolare gli inserimenti dei compagni.
Un mercato, dunque, in controtendenza col modus operandi dell’ex ad Lo Monaco, notoriamente improntato sull’acquisto di profili scelti direttamente dalla società e non sempre in linea con le esigenze dell’allenatore di turno. Posto che quest’ultima filosofia si è rivelata deleteria ai fini del raggiungimento degli obiettivi prefissati, non è detto che quella adottata da Pellegrino risulti azzeccata. Assecondare pedissequamente le richieste di un tecnico ha l’indubbio vantaggio di metterlo nelle migliori condizioni per esprimere le proprie idee. Ma c’è un rovescio della medaglia: se alla lunga queste idee non si rivelano vincenti, se alcuni elementi del puzzle, per qualsiasi motivo (fisico, mentale, tecnico), non confermano le attese (si pensi a Semenzato, teoricamente ideale per il 3-5-2 di Lucarelli), si finisce col compromettere una stagione. Perché a quel punto, o consenti allo stesso allenatore di barcamenarsi, oppure lo cambi ma con la consapevolezza di dover ridisegnare una squadra. La scorsa stagione, ad esempio, il Catania era stato costruito per giocare col 4-3-3, sulla base delle idee di Camplone, che peraltro mal si sposavano con gli elementi a disposizione. Fallito quel progetto, non c’erano le condizioni per garantire al successore Lucarelli un organico adatto al “suo” 3-5-2. In quel caso è stato bravo l’attuale allenatore della Ternana a trovare un compromesso nel 4-2-3-1, in funzione del quale sono stati poi messi a punto gli acquisti di gennaio.

Ma dove può arrivare questa squadra?
In definitiva, la modalità di costruzione del Catania 2020/21 da un lato è virtuosa, dall’altro potrebbe rappresentare un grosso rischio: soltanto il campo ci darà, nel giro di qualche settimana, le risposte che cerchiamo, pur nella consapevolezza che quest’anno l’obiettivo non è e non può essere la promozione diretta, ma il miglior piazzamento possibile in zona playoff. La domanda, dunque, è la seguente: questa squadra ha le potenzialità per raggiungere tale traguardo? Al netto della competitività delle rivali, che sono tante ed attrezzate, parrebbe di sì, analizzando i vari ruoli: in porta Santurro e/o Confente devono essere testati, ma hanno esperienza in categoria; la difesa è praticamente la migliore del girone, anche se al momento necessita almeno di una riserva affidabile nel pacchetto dei centrali; sugli esterni, sia difensivi che offensivi, c’è abbondanza e qualità; il reparto di mezzo è quello che genera più incognite, perché in assenza di Maldonado non ci sono registi puri e i centrocampisti di quantità sono fin troppi; le punte (Sarao o Pecorino) rispecchiano i prototipi tipici delle squadre di medio-alta classifica di terza serie; qualche incognita, al momento, la riservano per motivi diversi Reginaldo e Gatto. Nel complesso sembra una squadra aderente alle caratteristiche che servono per ben figurare in Serie C, con un paio di lacune da colmare ricorrendo al mercato degli svincolati, oppure attendendo gennaio. Non è, sicuramente, una squadra che sulla carta possa vincere il campionato o provare a farlo. Ma in questa categoria siamo abituati alle sorprese, sia in positivo che in negativo. E allora bando alle ciance: parola al campo!