Angelo Russo: "In C si vince con umiltà e freschezza, non con la supponenza"

Angelo Russo, nipote del Cavaliere Massimino, ex dirigente rossazzurro

Angelo Russo, nipote del Cavaliere Massimino, ex dirigente rossazzurro 

Il pensiero dell'ex dirigente rossazzurro, nonché nipote del Cavaliere Massimino, sull'inferno della Serie C

Lunedì pomeriggio, l’eliminazione di Trapani è una ferita freschissima, anche perché non sono trascorse manco 24 ore. In cantina, nell’intento di mettere ordine, mi giunge fra le mani una copia de “La Sicilia” vecchia più di vent’anni. È di domenica 1 febbraio 1998, odora di Serie C2. In tutta fretta, saltando varie pagine, mi dirigo subito all’osso, in cerca di informazioni sul Calcio Catania. Trovo quel che cercavo alla pagina numero 33, in un articolo firmato da Orazio Provini. Il titolo è abbastanza emblematico sul momento vissuto dai rossazzurri, reduci dalla sconfitta in terra laziale in casa dell’Astrea (club fondato da un gruppo di dipendenti dall’ex Ministero di Grazia e Giustizia) e attesi allo “Scida” dal Crotone: «Catania, reagire per non sprofondare». Incuriosito, leggo il pezzo, rimanendo colpito da un periodo mai così attuale: «Che tristezza vedere i nostri “eroi” maltrattati su gran parte di campi che una volta era solo utopistico pensare di andare a calcare». Parole vecchie più di vent’anni, ritornate in auge spesso nel corso di questi ultimi quattro campionati vissuti in terza serie.

Tratto da "La Sicilia" di domenica 1 febbraio 1998. 



Anche sei anni fa, quando arrivammo all'ottavo posto in A, era utopistico pensare che da lì a poco avremmo calcato nuovamente campi di una periferia che sembrava dimenticata per sempre. E invece, l’anno prossimo sarà per la quinta volta Serie C. Ieri Astrea, Albanova e Tricase, oggi Martina Franca, Melfi e Bisceglie. Storie diverse, figlie di percorsi diametralmente opposti, così come mi fa notare Angelo Russo, nipote del Cavaliere Angelo Massimino e dirigente del sodalizio rossazzurro nella seconda parte degli anni novanta: «Si risaliva dall’Eccellenza ed il Presidente era morto da meno di due anni...».

Tante differenze fra le due storie, tantissime, così tanto da non poterle accostare manco minimamente. Storie diverse, ma, allo stesso tempo, dai temi strettamente simili ed attuali, con il Catania che non riesce a rivedere le stelle.

«Nello sport, come anche nella vita – sottolinea Angelo Russo –, per ottenere risultati occorre sempre umiltà e sacrificio. Ci troviamo in un campionato scomodo e pensiamo di non meritarlo. Eppure non ne usciremo mai se non cercheremo di viverlo come il nostro campionato, la nostra dimensione, con umiltà e senza arroganza. Se siamo migliori, se davvero i campetti ci stanno stretti, lo dobbiamo dimostrare giocando a calcio, correndo di più, soffrendo di più».

Angelo Russo insieme ad una formazione del Catania 1998-99 



La C, che sia C1, C2 o unica, è un inferno. Un campionato tremendo dove il blasone può diventare un’arma a doppio taglio: «Questi – prosegue Angelo Russo – sono campionati che si vincono con la freschezza non con la supponenza. Noi siamo il Calcio Catania, ma questo è solo uno stimolo più per chi ci affronta. Meglio calarsi nella realtà, cercando di costruire una squadra. E sai come si fa? Creando un’ossatura con 5 o 6 elementi, tutti rigorosamente sotto i 22 o 24 anni, senza eccezioni. Questo zoccolo duro deve funzionare almeno per 7/8 anni, durante i quali crescere. Sarà molto più semplice poi inserire qualche giocatore più grande ed esperto».

Squadra giovane, un gruppo coeso e un nocchiero di personalità a guidarla, senza alcuna interferenza dall’alto: «Bisogna scegliere bene l’allenatore e lasciare che sia lui il vero capo dentro lo spogliatoio. La società ne deve stare fuori, salvo che non siano gli stessi componenti a chiederlo. La leadership si conquista con i comportamenti, non con le minacce. E non pensare che la piazza di Catania non ti dia il tempo, sarebbe la condanna a non vincere mai».

Grazie Angelo, grazie sempre per averci tenuto in vita e per aver continuato fra mille difficoltà la missione del Cavaliere: « Non ringraziarmi affatto, qualunque tifoso, con un nonno di quel calibro, avrebbe fatto lo stesso…».