Roberto Ricca: "Vi racconto Catania-Turris 1997"

Roberto Ricca in azione contro la Turris nei play-off 1996/1997

Roberto Ricca in azione contro la Turris nei play-off 1996/1997 

I ricordi rossazzurri di Roberto Ricca, difensore del Catania nel biennio 1996-98

Sabato ai ’46, domenica agli atletisti
Fra poco più di quarantotto ore il Catania di Andrea Sottil, rientrato in sella a due mesi dall’allontanamento in seguito alla sconfitta di Viterbo, conoscerà il nome dell’avversario che ospiterà mercoledì 15 maggio 2019 al “Massimino”, nella prima gara di un cammino play-off che ad oggi appare incerto. Per la seconda volta nella storia l’Elefante affronterà la roulette degli spareggi da quarta in classifica, così come accadde ventidue anni fa in quella vecchia Serie C2 che non aveva niente da invidiare all’attuale C, sia a livello di club partecipanti sia a livello tecnico dei calciatori in campo. Correva la stagione 1996/97, la seconda consecutiva vissuta nell’allora quarta categoria professionistica del calcio italiano. Il Catania, presieduto dalla presidentessa Grazia Codiglione, coadiuvata dal prezioso apporto degli eredi del Cavaliere Massimino, aveva concluso una stagione complicata a sette punti dalla Battipagliese di Di Baia e D’Antò finita al primo posto. Fra i bianconeri e i rossazzurri c’erano il Benevento e la Turris, rispettivamente seconda e terza con due e un punto di vantaggio sul Catania, mentre il Catanzaro, quinto, era l’ultima ‘eletta’ a chiudere il quartetto delle formazioni a giocarsi il secondo ed ultimo pass per il salto in C1. Il format era abbastanza semplice: seconda vs quinta, terza vs quarta, con la gara di ritorno che si giocava in casa della miglior classificata, forte, inoltre, di avere due risultati su tre per conquistare la finale. Le gare delle semifinali di andata sono fissate per domenica 1 giugno 1997. L’unica eccezione riguarda la sfida fra Catania e Turris, match anticipato di ventiquattro ore per via della gara dell’Atletico, impegnato nei play-off di Serie C1 con il Savoia proprio al vecchio nell’impianto di Piazza Spedini. Sabato ai 46, domenica agli atletisti. Si parte!

Com’era il Cibali il 31 maggio del 1997?
Fra qualche giorno saranno ventidue anni esatti, ma i ricordi di quella gara sono ancora vivi ed attuali attraverso le parole di Roberto Ricca, novarese dalla temperamento meridionale, “cavallo pazzo” di razza dal passo mancino, perno di una squadra passata dalle mani di Angelo Busetta a quelle di Gianni Mei. I fotogrammi scattati quel giorno sono tanti, ben prima del fischio d’inizio dell’aretino Guiducci: «A casa, qui a Novara, conservo gelosamente le fotografie delle due curve, erano entrambe tutte rossazzurre. L’unica nota stonata era la Tribuna B che era chiusa per via di alcuni lavori di ristrutturazione in funzione delle Universiadi. Senza far polemiche, a mio avviso, l’amministrazione comunale avrebbe potuto aspettare ancora qualche giorno e lasciarla agibile, così facendo penso che lo stadio sarebbe stato ancora più pieno. Nonostante tutto, però, si sfiorarono i quindicimila e forse anche le ventimila presenze. Il nostro spogliatoio si affacciava sul “Cibalino”. Da lì si vedeva gente che si arrampicava sul muro, dappertutto, ammassata pur di vedere la partita. Ci diedero una carica incredibile. L’atmosfera che si respirava, anche già da qualche giorno prima, era qualcosa di elettrizzante veramente. Purtroppo il risultato non è stato quello che avremmo voluto tutti».

Meglio uno 0 a 0 che vincere 1 a 0: la verità 22 anni dopo
Gli attacchi del Catania s’infransero sul muro eretto dal portiere corallino Sassanelli. A fine gara il tecnico degli etnei, Gianni Mei, dichiarò alla stampa che lo 0 a 0 era un risultato migliore rispetto ad una possibile vittoria per 1 a 0. Frase provocatoria, travisata da molti, ma non dai calciatori: «Bisogna sfatare questo falso mito e chiarire una volta per tutte il significato di quelle parole – sottolinea perentorio Ricca – . Bisognava leggere quelle dichiarazioni in un modo diverso. Erano per darci una motivazione ulteriore, come dire “Ragazzi abbiamo ancora il ritorno, ce la giochiamo tutta lì”. Purtroppo, durante l’anno, si erano create delle situazioni per via delle quali venne dato ampio risalto a questa famosa dichiarazione, ma vi posso garantire che mister Mei parlò in quel modo per caricarci ancora in vista del ritorno. Sapeva benissimo come stavano le cose. Era il primo ad essere consapevole del fatto che se avessimo vinto per 1 a 0 sarebbe stato meglio dello 0 a 0, ovviamente. È giusto puntualizzare questo aspetto, anche a distanza di anni. Mister Mei è una persona di grande spessore umano e non merita assolutamente di esser ricordato per queste dichiarazioni, anzi. Con lui abbiamo fatto undici risultati utili di fila. Avevamo preparato la partita di andata alla grande, eravamo carichi a mille. Probabilmente a livello emotivo eravamo talmente carichi che non riuscimmo a scendere in campo con la giusta scioltezza, così come lo eravamo stati durante il campionato. A fine partita eravamo tutti affranti, con il testone basso, nessuno di noi riusciva a proferir parola».

Le fasi di riscaldamento prima di Catania-Turris 



Un grande gruppo, con la giusta alchimia
Fimiani, Cicchetti, Pizzimenti, Di Dio, Ricca, D’Aviri, Pellegrino, Brutto, Orazio Russo, D’Isidoro e Pannitteri… Quarto posto, miglior attacco del girone e titolo di capocannoniere con Tiziano da Silvi Marina: «Escludendo il calciatore che giocava sulla sinistra, un certo Ricca, era uno squadrone! Davanti avevamo un grande trio d’attacco con Tiziano, Ciccio ed Orazio che metteva le ali agli altri calciatori. C’era anche Pasquale Marino, uno uomo spogliatoio incredibile: era avanti con l’età ma riusciva a trasmettere una grandissima carica, un vero allenatore in campo. Lo stesso Maurizio Pellegrino era un grandissimo equilibratore all’interno dello spogliatoio. C’era gente con un certo temperamento, vedi me, Alessandro Cicchetti o Nino Di Dio, quindi serviva anche chi indossava i panni del pompiere… Eravamo un ottimo gruppo, nel quale si era creata la giusta alchimia. Ci si frequentava fuori dal campo, anche fra scapoli e ammogliati, insieme alle rispettive famiglie. Il rammarico più grande è rappresentato da come è andata a finire quella stagione. Ancora oggi, a distanza di più di vent’anni, mi girano tantissimo le palle, perché sarebbe stato bellissimo riportare il Catania in quella categoria. Missione poi riuscita ai miei colleghi qualche anno più tardi. Fossi riuscito anch’io avrei potuto dire “posso morire felice”. Non oso immaginare a cosa sarebbe potuto succedere in città in quel periodo…».

L’avversario peggiore
Se il Catania vantava il miglior attacco del raggruppamento meridionale della C2, con 40 reti all’attivo, la Turris deteneva la palma della retroguardia meno perforata, con appena 19 reti al passivo in 34 gare: «La Turris era una squadra fatta da giocatori arcigni: Dell’Oglio a centrocampo, giocatore ex Fiorentina; in difesa giocava Di Meo, un mastino abituato a campionati infuocati; mentre in vanti avevano Acampora che era un ottimo attaccante per la categoria. Era una squadra rognosa e difficile da perforare. Probabilmente era la squadra che soffrivamo più di tutte, anche per via delle caratteristiche differenti. Tra l’altro, nelle due gare nella stagione regolare, la Turris fu la squadra che ci mise più in difficoltà rispetto alle altre, con un pareggio all’andata e una sconfitta al ritorno a Torre del Greco. Risultati che ripetemmo, purtroppo, anche nelle due gare di play-off».

La penultima a Benevento, grande rammarico
Un secondo posto finale nella regular season fallito per questioni di centimetri, dagli undici metri: «La nostra fu una stagione fatta di rincorsa dopo una partenza di campionato discreta con mister Angelo Busetta, poi, dopo Frosinone, arrivò Gianni Mei. A quel tempo, per raggiungere i play-off, bisognava arrivare fra il secondo e il quinto posto. Per arrivare fra quelle quattro sudammo le cosiddette sette camice. Fu una sorta di inseguimento il nostro, una specie di corsa a tappe. Alla penultima giornata giocammo a Benevento, squadra che tra l’altro si classificò al secondo posto, dove pareggiammo per 0 a 0, sbagliando anche un calcio di rigore. Se avessimo vinto quella gara saremmo arrivati secondi anziché quarti, e questo avrebbe significato che per andare in C1 sarebbero bastati tre pareggi e una vittoria. Un grande rammarico non aver vinto quella gara. Probabilmente, anche da un punto di vista psicologico, sarebbe stato diverso, anche perché molti noi, me per primo, non eravamo abituati a disputare un campionato di vertice. Molte energie nervose sono state bruciate così, pensando a queste partite. Siamo arrivati a Roma ma non abbiamo visto il Papa…».


Il gol vittoria di Antonaccio nella gara di ritorno disputata ad Avellino


In parallelo con l’Atletico…
Se il Catania aveva l’opportunità di giocarsi la C1, l’altra realtà calcistica della città era in corsa per la cadetteria. Nonostante ciò, al di là della categoria, i padroni di casa erano i 46: «A Catania, a quel tempo, c’erano due squadre. Bisogna che riconoscere che l’Atletico aveva allestito una squadra di tutto rispetto, con giocatori importanti che avevano trascorsi anche in Serie B alcuni addirittura anche in A. Quella loro era una squadra che in un campionato di adesso potrebbe stare tranquillamente in B. In campo si andava così come fanno i gladiatori nell’arena, si giocava alla morte, onorando la maglia che si indossa. Furono due partite molto accese con loro. Quando l’arbitro fischia la fine si torna alla normalità, come giusto che sia. Al di là dei derby in Coppa Italia coi calciatori dell’Atletico c’era grande cordialità, ci si incontrava al bar ad Acitrezza e talvolta si faceva anche colazione insieme. Sia noi che loro appartenevamo ai professionisti, quindi c’era grande rispetto reciproco. Loro, nonostante fossero in una categoria superiore, invidiavano a noi quel calore che riusciva a trasmettere il tifoso del Catania ’46. Noi, e nessuno se ne risenta, avevamo molto più seguito di pubblico rispetto a loro. Quelli che seguivano l’Atletico andavano allo stadio con una passione diversa rispetto a quella di chi seguiva le vicende del nostro Catania. Probabilmente i giocatori atletisti sentivano di essere come degli intrusi nella città di Catania. Noi eravamo la storia, noi eravamo quelli dei quarantamila all’Olimpico di Roma e quelli ad aver vissuto le sofferenze negli anni precedenti. Si percepiva la rabbia derivante dal sopruso subito nel 1993, c’era la volontà di ritornare al più presto in quella categoria (la Serie C1, ndr) scippata da una vigliaccata del governo del calcio».

Due tecnici, anzi tre…
Nelle due stagioni vissute in rossazzurro, 1996-97 e 1997-98, Roberto Ricca ha lavorato con tre allenatori:«Di mister Busetta conservo solo ricordi positivi. C’eravamo conosciuti a Milano, durante il calciomercato. Catania era la mia prima esperienza calcistica nel meridione. Mi fu subito simpatico, anche perché aveva una parlata “italo-siciliana” (ride, ndr). Fin dai primi giorni in ritiro si creò un feeling incredibile, talvolta mi parlava in dialetto ed io inizialmente non riuscivo a capirlo. Fra i tanti mi piace ricordare un episodio in particolare: facevamo gli addominali, si avvicinò a me dicendomi “acchiana”. Io, invece, pensai che volesse dire di andare più piano e rallentai. Lui si avvicinò nuovamente ripetendomi “acchiana, acchiana!”. Io gli risposi “mister più piano di così sto fermo”. Lui scoppiò a ridere, mi diede mezzo scappellotto, e mi tradusse quella termine… Busetta, caratterialmente, era abbastanza simile a mister Mei, sicuramente più caliente anche perché, oltre ad essere siciliano, era anche un grande tifoso del Catania. Probabilmente, quell’anno, pagò i risultati che non erano adeguati alle aspettative della società. Di entrambi conservo solo splendidi ricordi, poi non mi pare di aver avuto altri allenatori a Catania…Scherzi a parte capita delle volte di avere dei tecnici con i quali ai meno feeling, così come capitò a me con Gagliardi. Quando ciò accade puoi fare ben poco, pazienza. Il tempo è galantuomo…».

Grazia Codiglione, grande donna
La stagione 1996-97 fu la prima vissuta senza il presidentissimo Angelo Massimino, scomparso tragicamente il 4 marzo del 1996: «I Massimino sono persone splendide, squisite – ha esclamato Roberto Ricca – . Ricordo con piacere Angelo Russo che viveva in simbiosi con la squadra, l’ingegner Inzalaco, una grandissima persona che purtroppo è venuta a mancare qualche tempo fa, il dottor Filippo Conti, il dottor Alessandro Russo che ci seguiva in alcune trasferte, e poi c’era la figura, per me mitica, della presidentessa Grazia Codiglione. Aveva un modo di fare che ti conquistava, a prescindere dal fatto che era nata lo stesso giorno in cui era nata mia nonna (il 25 settembre, ndr), cosa che scoprì soltanto qualche anno più tardi. Era una donna che parlava poco, veniva qualche volta in ritiro il sabato sera, però riusciva a darci una carica incredibile pur dicendo pochissime parole. Aveva uno sguardo sempre triste, in ricordo del Cavaliere. Amava il Catania anche in funzione di suo marito».

L'ingresso in campo di Catania-Turris 



Catania attuale, missione ancora possibile
Un’annata balorda, ben lontana dalle previsioni ottimistiche della vigilia, ma che ancora può regalare l’ambito traguardo. Roberto Ricca ci crede ancora: «È stato un campionato stranissimo, molto contrastante. Ho visto qualche partita, ho saputo del nuovo cambio tecnico, ma onestamente non riesco a farmi un’idea di quel che è successo. Sinceramente pensavo che quest’anno il Catania potesse andare in B senza passare dai play-off. Purtroppo, invece, è stata l’ennesima stagione negativa, anche se adesso c’è ancora la coda degli spareggi. Play-off che, a mio avviso che son vecchio, hanno una formula poco accattivante così come lo erano quando se la giocavano la seconda, la terza, la quarta e la quinta. Adesso sembra che si giochi un altro torneo. L’ultima partita che ho visto del Catania è stata quella di Reggio Calabria, poi non sono più riuscito a seguirla. L’avvento di Novellino aveva portato molto entusiasmo, sia all’ambiente che all’interno della squadra. Sembrava che fosse riuscito a dare una quadratura alla squadra, ma i risultati successivi hanno parlato in modo diverso. Si può disquisire all’infinito, si possono fare mille ipotesi, ma alla fine contano i risultati. Se le cose sono andate così sarà il caso che chi di dovere rifletta sul perché è andata in questo modo. Detto questo, c’è ancora un modo per conquistare la B. Sono convinto che andando avanti in questa roulette quell’entusiasmo che adesso è sopito si risveglierà, a Catania sono grandi in questo. Novellino ha utilizzato un’espressione bellissima “i tifosi del Catania sono i titolari in campo”. Concetto vero, nonostante le mille contraddizioni legate a una piazza che se vinci ti fa sentire un fenomeno, mentre quando perdi subentra lo sconforto e cominciano a venire fuori le famose “cucche” e frasi del tipo “arrusbbigghiativi” o “a bellu Catania hai”. Tutti aspetti di una città che vive il calcio in un modo viscerale. A Catania si dice la Famiglia, Sant’Agata e il Calcio Catania. È bello ma allo stesso tempo è un peso importante per chi decide di indossare la maglia rossazzurra, maglia che va sempre onorata».

Ricordi sempre attuali
Nonostante siano passati tanti anni, a prescindere dal non aver conquistato l’obiettivo promozione, le emozioni vissute a Catania hanno un valore inestimabile:«In qualunque squadra in cui ho giocato ho sempre cercato di dare il massimo. A Catania, probabilmente perché ho un carattere passionale, diverso rispetto a quello dei polentoni, certe situazioni me le sentivo dentro. Era bellissimo sentire la bolgia del “Cibali” o anche fare l’allenamento al “Cibalino” con trecento o quattrocento tifosi che ti ringhiavano addosso. Ti davano una carica incredibile. Mi auguro che questa squadra riesca a conquistare la promozione in B, soprattutto per i tifosi che soffrono in maniera esagerata. Se i calciatori dovessero riuscire in questa impresa possono si sentirebbero realizzati, non solo come calciatori ma anche come uomini. Perché vincere un campionato a Catania è un qualcosa che non si può mai dimenticare, assolutamente. Ed io, pur non avendo vinto nulla col Catania, ricordo ancora quando si preparavano le partite dei play-off e ancora mi vengono i brividi al solo pensiero…».


Roberto Ricca, un calciatore con la penna 



LE PAGINE ROSSAZZURRE DI ROBERTO RICCA
Difensore rossazzurro nelle stagioni 1996-97 e 1997-98 in Serie C2
Prima puntata: Giugno e Luglio 1996
Seconda puntata: Carmelo Gennaro e Pasquale Marino
Terza puntata: Il ritiro precampionato, mister Busetta e gli amici Fimiani e Cicchetti
Quarta puntata: La famiglia Massimino
Quinta puntata: Gli allenamenti al "Cibalino", con Pippo Fleres e Gino Maltese
Sesta puntata: Il primo derby contro l'Atletico Catania
Settima puntata: L'amaro finale: gli errori della stagione 1997-98