#70CATANIA: Luigi Conti, vivere con passione

Un'acrobatica uscita aerea di Luigi Conti

Un'acrobatica uscita aerea di Luigi Conti 

Intervista a 360 gradi all'intramontabile Luigi Conti, portiere del Catania nella stagione 1947-48

IL FARAGLIONE DI AUGUSTA
D’estate, fino a qualche anno fa, con i miei genitori andavo al mare nella vicina Augusta. Negli anni, percorrendo il tragitto che collega Catania alla cittadina siracusana, ho visto crescere (seppur lentamente) l’autostrada che attualmente si spinge fino a Rosolini. La spiaggia? Una baietta tranquilla incastonata nei pressi del Faro di Punta Santa Croce. Per anni ho osservato quel mare, ma mai, e sottolineo mai, mi ero reso conto che tra quelle rocce bianche vi era nascosto un possente faraglione di oltre novant’anni. Una mattina, quasi per caso, il mio amico Alessandro Russo mi apre un’altra porta della storia rossazzurra, suggerendomi di andar a trovare lui, Luigi Conti, portiere del Catania nella stagione 1947-48. L’occasione buona, tra un impegno e un altro, si presenta proprio nella settimana che porta al settantesimo compleanno dell’Elefante. Momento migliore di questo non poteva esserci.

Finalmente decido di chiamarlo per fissare un appuntamento. “Vieni a trovarmi in palestra, la mia vita si svolge lì…”. Con queste semplici parole, il Conti, mi ha già catturato. Così, qualche giorno più tardi, vado a trovarlo in quella che ormai da qualche anno è diventata la sua casa. L’impatto è ancor più sorprendente della telefonata. Spalle larghe, schiena dritta e petto in fuori, lui serra il pugno della mano destra e con veemenza lo batte contro l’addome: “Guarda Salvo, guarda che stomaco che ho. Non ho nulla sotto la maglietta!”. Qualcosa invece c’è, degli addominali indistruttibili frutto di tanti sacrifici che non conoscono età. E già, l’età. A fine Giugno Luigi Conti da Verona, da più di sessant’anni trapiantato ad Augusta, di candeline ne ha spente ben 92. Una roccia, quest’uomo, la cui filosofia di vita è abbastanza semplice: “Sveglia alle 4 del mattino, colazione e alle 6 sono già in palestra da Carmelo ad allenarmi: riesco a sollevare ancora 100 kg su panca piana. Al pomeriggio mi riposo per un'oretta, non di più, poi faccio dei lavoretti al traforo, qualche ora la dedico all’orto e poi vado a letto verso le 22.30/23. Cinque, sei ore di sonno possono bastare… Il segreto? Se hai la passione riesci a fare tutto!”.

Luigi Conti con Carmelo, un figlio acquisito 



UN PORTIERE PREDESTINATO CON L’ISTINTO DEL PARA-RIGORI
La prima passione a travolgere Luigi Conti è stata quella per il pallone. A distanza di tanti anni, oltre ai ricordi conservati da una memoria di ferro, porta con sé anche un segno evidente sulla testa, triste testimonianza di una violenta azione di gioco: "È iniziato tutto dietro la chiesa di Sant’Anastasia di Verona, la città dove sono nato il 29 giugno del 1924. Ricordo che c’era un pezzo di terreno grande quanto ‘sta palestra e…giocavo in porta. Dopo anni anni di attività calcistica, sia col Verona che con altre squadre sparse in tutta Italia, ho scoperto quasi per caso che la buonanima di mio padre era un portiere dell’Hellas. Io ho preso da lui, senza saperlo… Negli anni sono diventato un para-rigori, su dieci tiri ne paravo nove. Il celebre portiere Sentimenti IV, ai tempi della Lazio, mi confidò ‘non guardare in faccia l’avversario, ma guarda i suoi piedi; come partono i piedi parti tu’. E così facevo, volando da palo a palo e riuscivo ad intuire i palloni che tiravano verso la porta. Ecco perché mi sono fatto questa fama nel calcio. Ricordo una partita a Gela, era l’ultimo minuto e c’era un calcio di punizione contro di noi. Mentre disponevo la barriera gridavo in continuazione ad un mio compagno di squadra ‘chiudi quelle gambe, chiudi quelle gambe!’ ma lui non mi ascoltava. Non ho visto partire la palla, ma sapevo che avrebbe calciato in quel buco, e così sono riuscito a prendere la palla proprio sulla riga”.

LEVA GALEOTTA
Un tempo, neanche poi troppo lontano, giungeva a casa la lettera per il reclutamento al servizio di leva. Nel caso di Luigi, autentico girovago del pallone, le cose sono andate diversamente: “Considerando che giravo tutta Italia mi cercavano per farmi fare il militare. Mi cercavano ma non mi trovavano mai. Dopo due anni di ricerca mi trovarono e mi andarono ad Orvieto. Lì c’era una squadretta, batoste di qua e di là; poi, un giorno, venne ad Orvieto la Lazio di Sentimenti IV per un allenamento. Mi arrivarono tiri da tutti le parti, io mettevo i pugni e all’impatto i palloni schizzavano in aria a campanile. Nessuno riusciva a farmi gol. Ad un certo punto della partita, venne il capitano della mia compagnia e mi disse così: ‘Conti, per favore, fatti fare gol, perché il comandante del CAR (Centro Addestramento Reclute) è di fede laziale e se la Lazio perde siamo consumati’. Così, in un tiro dalla distanza su punizione, aprì le mani ed il pallone andò in rete. Perdemmo per un gol a zero. A fine partita mi chiesero se volevo venire alla Lazio. Io accettai e venni trasferito da Orvieto a Roma. Dopo qualche tempo il presidente della Lazio mi disse che dovevo andare a Catania perché il mio amico, Cesare Goffi, si era fatto male e a loro serviva un portiere…”.

Alcuni dei riconoscimenti collezionati lungo una vita 



CATANIA: MARSALA, REGGIO E LO SCHERZETTO DI MOLON
Catania-Conti, un’esperienza breve ma allo stesso tempo intensissima: “L’anno che ho passato a Catania è stato meraviglioso! Io ho dato anima e corpo a loro, abbiamo fatto partite impossibili. Ricordo ancora una partita a Trapani, con l’arbitro caduto a terra a causa di un pugno in testa e noi ridotti in sette con quattro giocatori fuori per infortunio. Qualche settimana più tardi siamo andati a giocare a Marsala con sette riserve e quattro titolari. Novanta minuti sotto la mia porta e abbiamo finito la partita zero a zero. A casa conservo ancora il giornale con il titolo ‘La grande giornata di Conti’”. Un campionato di vertice con un esordio che fa ancora rabbia: “Eravamo una squadra molto forte – ha proseguito Conti – Ardesi, Cadei, Catacchio, Carlo Molon, li ricordo tutti. A distanza di anni, però, ce l’ho ancora con Carletto (Molon, ndr) per un brutto scherzetto a Reggio Calabria, proprio nel giorno della mia prima partita con il Catania. Loro non riuscivano a segnare. In una punizione lui si mise sul palo destro della mia porta; io gli dissi di stare attento e lui mi rispose che non dovevo preoccuparmi. Il pallone arrivò dalle sue parti e lui, invece di respingerlo, si scansò e mi segnarono. Rimasi così male che se lo avessi avuto tra le mani…”.

DAI TRIONFI MONDIALI …
Capita poi che un girovago veronese decida di metter radici in Sicilia: “Ho concluso la carriera da calciatore col Megara, nel 1950, a trentasei anni, decidendo di rimanere a vivere ad Augusta. Ormai sono più di sessantacinque anni che vivo qui”. Dal calcio alla palestra, ma non subito: “Quando ho smesso di giocare a calcio – ha proseguito Luigi Conti – sono rimasto fermo per moltissimo tempo. Poi, a settant’anni, sono venuto in palestra, qui da Carmelo; dopo un anno di allenamento abbiamo iniziato a fare le prime gare, io e lui. Oggi, dopo più di vent’anni, siamo ancora io e lui. Praticamente siamo come padre e figlio. Quando gli altri partecipanti ad una gara sentono che a gareggiare ci sono Conti e Carmelo si sentono già battuti. A Vienna nel 2002, all’età di ottant’anni, ho vinto il titolo mondiale di sollevamento pesi della categoria Master 60. L’anno dopo, a Londra, ho vinto ancora io. Riuscivo ad alzare anche 130 kg di roba. A casa conservo tante coppe, non c’è neanche un secondo posto, solo primi. Il segreto? È tutta questione di passione”.

Luigi Conti tra i suoi trofei 



...ALLA PASSIONE PER I LAVORETTI TRAFORATI
Tra tanta palestra c’è lo spazio, e soprattutto il tempo, anche per fare altro: “Ho anche un’altra passione: il traforo. È un passatempo che mi porta via circa cinque, sei o sette ore di tempo al giorno, anche se a me sembrano dieci minuti. Dai fogli di compensato da quattro millimetri riesco a realizzare qualsiasi cosa: cestini per il pane, porta-candele ed anche le riproduzioni in scala dei monumenti. Per la realizzazione della Mole Antonelliana ho impiegato diversi mesi: centosettantaquattro buchi per quattro facciate, pensa te quanto ore di lavoro ci sono! Ho anche un pezzetto di terreno nel quale mi dedico alla coltura di frutta e verdura. Non riesco a stare fermo un minuto”. Non stare fermo, Luigi, perché chi si ferma è perduto e tu, a 92 anni, non hai mai perso la voglia di vivere la vita e tutte le tue passioni.

Luigi Conti alle prese con il traforo