Tutti gli errori da non ripetere

Christian Argurio e Pietro Lo Monaco

Christian Argurio e Pietro Lo Monaco 

Un'analisi dei disastri della gestione tecnica che hanno compromesso la stagione appena conclusa.

Al netto di alcune indiscrezioni circolate negli ultimi giorni, allo stato attuale la prospettiva concreta per il Catania è quella di ripartire dal management delle ultime tre stagioni. In quest'ottica appare quanto mai opportuno evidenziare le falle di gestione dell'annata appena conclusa (alcune delle quali reiterate nel corso del triennio), auspicando che la dirigenza ne faccia tesoro e non ricommetta più determinati errori. Fra questi, particolare rilevanza hanno avuto quelli verificatisi "fuori dal campo", vedi alcune dichiarazioni fuori luogo che hanno logorato il rapporto con una parte della tifoseria e scelte discutibili nei confronti delle testate online. Senza nulla togliere a queste tematiche, in questo pezzo ci si concentrerà sulle magagne che hanno interessato da vicino il comparto tecnico.

Un errore di mercato dietro l'altro ha messo i bastoni tra le ruote di Sottil
L'errore più grande della stagione 2018/19 del Catania è, probabilmente, quello relativo alla costruzione dell'organico. Da quando sono scesi nelle sabbie mobili della terza serie, gli etnei non hanno mai faticato così tanto a trovare un modulo base ed una propria identità. Lo dimostra il fatto che sia Sottil che Novellino hanno cambiato moduli e formazioni quasi ogni domenica. Persino in annate dai risultati più deficitari i rossazzurri sono stati molto più tatticamente riconoscibili: il Catania di Pancaro giocava col 4-3-3 (fin troppo integralista), quello di Moriero col 4-2-3-1, mentre nel 2016/17 le diverse soluzioni provate da Rigoli erano legate a lacune della rosa o al cattivo rendimento di alcuni giocatori chiave (su tutti Scoppa), ma lo schema base rimaneva comunque il 4-3-3 (al quale ritornò mister Pulvirenti dopo il fallimento del 3-5-2 post mercato invernale).
Archiviata la gestione Lucarelli (non senza rimpianti postumi da una parte dei sostenitori, della stampa...e dello stesso mister), i dirigenti hanno puntato su uno dei vincitori uscenti della stagione precedente: Andrea Sottil. Era risaputo che il tecnico originario di Venaria Reale prediligesse il 4-2-3-1, con cui aveva costruito i propri successi a Siracusa e Livorno. Non a caso, nelle prime settimane di mercato circolavano i nomi di Maiorino e Doumbia, rispettivamente il trequartista centrale e l'esterno offensivo che avevano aiutato non poco Sottil a centrare la vittoria del campionato sulla panchina labronica. Obiettivi poi sfumati e non rimpiazzati da giocatori con caratteristiche analoghe, o dalle medesime garanzie.
La necessità di assicurare al senatore Lodi un posto da titolare ha portato infatti Sottil a puntare sul numero 10 nell'insolito ruolo di trequartista, provocando le insofferenze del regista di Frattamaggiore che, dopo qualche mese, ha chiesto ed ottenuto di tornare a giocare in posizione più arretrata. Peraltro, la società non ha acquistato nessun giocatore in quel ruolo, costringendo il tecnico a cambiare modulo, una volta fallito l'esperimento iniziale.
Quanto all'esterno, si è registrato un fallimento su tutta la linea: il confermato Barisic, anche per problemi fisici, non ha ripetuto le eccellenti prestazioni offerte sotto la gestione Lucarelli; il cavallo di ritorno Llama è stato tormentato da continui infortuni, risultando a conti fatti uno spreco, in considerazione del limite di caselle over a disposizione; l'acerbo Vassallo non si è mai ambientato; l'unico altro elemento di ruolo a disposizione, Di Grazia, è stato scelleratamente messo da parte (ne riparleremo più avanti).
In compenso, i due acquisti estivi più reclamizzati, Marotta e Angiulli, si sono rivelati armi a doppio taglio. Il Catania disponeva già del capocannoniere del campionato precedente, aggiungere un'altro primattore nel reparto avanzato ha dato origini ad esperimenti tattici autolesionisti (come l'adattare talvolta Marotta, talaltra Curiale sulla fascia) e di fatto entrambi hanno reso al di sotto delle aspettative. Angiulli, invece, non si è rivelato quel che agli etnei serviva e che manca da ben tre anni, dai tempi di Fabio Scarsella: una mezzala di corsa, di inserimento. L'ex Ternana è un centrocampista compassato, dalla buone qualità tecniche indubbiamente, ma dotato di una propensione di gioco simile a quella di Lodi. Un'altro doppione, insomma, che non ha fatto altro che complicare la ricerca del miglior amalgama.
Trequartista, esterno offensivo, mezzala, tutti problemi che non sono poi stati risolti nel mercato di riparazione, laddove si è puntato sull'ennesima prima punta (Di Piazza, dal rendimento un filino superiore ai colleghi di reparto), mentre Sarno, che sulla carta avrebbe potuto risolvere molti problemi, è arrivato quasi a tempo scaduto (il 25 gennaio), con mesi di inattività alle spalle e in condizioni fisiche non ottimali. Di mezzala di spinta neanche a parlarne: sfumato Palumbo, ci si è accontentati di Carriero, l'ennesimo doppione (interditore, alla pari di Rizzo e Bucolo), ma forse necessario per garantire equilibrio ad una formazione che si permetteva il lusso di schierare ogni domenica gli attempati Lodi e Biagianti.
Sottil avrà avuto anche le proprie responsabilità nel caos tecnico che si è generato, tuttavia gestire una rosa con simili complessità non è facile per nessuno e l'esperienza Novellino sta lì a testimoniarlo. Il tecnico di Venaria Reale ha avuto anzi il merito di aver spesso saputo vincere anche quando la squadra non convinceva, ottenendo una media punti complessiva (1,92) di poco inferiore a quella di Lucarelli (1,94), seppur con 10 partite in meno. E l'aver raggiunto le semifinali playoff, sfiorando l'accesso alla finale, per certi versi può essere considerata un'impresa.
La morale della favola che si evince dalla superiore disamina è la seguente: perseguire, nella costruzione della squadra, una politica lontanissima dal soddisfare pedissequamente i desideri dell'allenatore - idea che di per sé può anche non essere malsana - non può tramutarsi nel paradosso di non mettergli a disposizione quantomeno gli elementi necessari ad attuare la propria filosofia di gioco, perché in quest'ultimo caso è facile che regni la confusione e che il progetto tecnico vada alla deriva.

Caso Di Grazia: il pugno duro in Serie C è autolesionismo
Un merito da sempre riconosciuto a Pietro Lo Monaco è il fatto che, sotto le sue gestioni, il Catania non è mai stato schiavo delle pretese del giocatore o del procuratore di turno. Negli anni della massima serie, la bravura del direttore di Torre Annunziata nel pescare talenti spesso sconosciuti ha fatto sì che alle falde dell'Etna nessuno fosse davvero indispensabile e persino l'addio di elementi come Baiocco e Stovini, due tra i tanti lasciati andare a parametro zero, ha cagionato una perdita di carattere soltanto emotivo e non tecnico, grazie al successivo apporto in campo dei loro "eredi" (Izco e Spolli).
Quel che in Serie A rappresentava un punto di forza, in Serie C è diventata però una vera e propria zavorra. Vuoi perché è meno facile rimpiazzare giocatori di spessore, vuoi perché tante scelte di mercato non sono state particolarmente azzeccate. Così, il pugno duro nei confronti del "ribelle" di turno, in questo caso Andrea Di Grazia, si è rivelato un clamoroso autogol, che ha creato danni a tutte le parti in causa. Il giocatore ha perso un anno, arrestando la propria crescita professionale in un periodo di maturazione. Ma ha perso tanto, tantissimo anche il Catania, che non ha potuto (anzi, non ha voluto) disporre del suo talento, che avrebbe certamente evitato a Sottil molti degli esperimenti attuati. La scelta di lasciarlo fuori a tempo indeterminato adducendo quale motivo il mancato rinnovo è stata illogica (diversi giocatori, negli ultimi tre anni, hanno mantenuto il posto da titolare pur essendo in scadenza di contratto, da Bergamelli a Mazzarani passando per Ramzi Aya; lo stesso è accaduto in massima serie coi vari Silvestri, Carboni, ecc) ed anche incoerente, come testimoniato dalla decisione di reintegrare il giocatore a inizio febbraio, a seguito dei guai fisici di Sarno che avevano drammaticamente privato Sottil di ogni scelta sull'out di destra (una volta ripresosi il fantasista, Di Grazia, che nel frattempo non aveva potuto dare alcun apporto in virtù di un infortunio, è stato nuovamente fatto fuori da Torre del Grifo).
Incoerenza che si è manifestata anche nel "caso Marchese". Il terzino di Delia è stato tra i pochi protagonisti positivi della seconda metà di stagione, nella quale con una professionalità disarmante ha dato una lezione a chi, come lo stesso Lo Monaco, lo aveva bollato come finito a inizio stagione. E invece si è rivelato il miglior terzino sinistro a disposizione, alimentando rimpianti sulla scelta di escluderlo a favore di Scaglia, una delle tante delusioni d'annata.
Tornando alla questione Di Grazia, anche in questo caso ci troviamo di fronte alla reiterazione di uno stesso errore, che era stato già commesso nel 2017/18, quando si lasciò andare con troppa leggerezza Da Silva, elemento fondamentale per il 3-5-2 che Lucarelli stava costruendo (peraltro, il tecnico labronico aveva già allenato con profitto il brasiliano a Messina). Privato dell'unico centrocampista di corsa funzionale al suo schema, anche Lucarelli fu costretto ad inseguire nuove soluzioni (come l'utilizzo di Lodi e Mazzarani da mezzali, l'alternanza col 4-3-3 e il finto esterno destro d'attacco). Un vero peccato, visto che il mercato dell'estate 2017 è stato l'unico condotto con raziocinio, cercando di assecondare le preferenze dell'allenatore di turno.

Tra le scoperte di Argurio alcuni "pesi morti" per l'organico
La nostra analisi non può trascurare la responsabilità di chi negli ultimi tre anni ha operato come braccio destro di Lo Monaco, con un occhio vigile sul mercato, in particolare quello dell'Europa dell'est. Diversi componenti dell'organico di questa stagione e di quelle precedenti sono una diretta promanazione del lavoro del ds Christian Argurio. Molti ricorderanno che uno dei primi colpi della "seconda era Lo Monaco" fu il serbo Stefan Djordjevic, terzino sinistro che si fece apprezzare nel girone d'andata del campionato 2016/17 agli ordini di Pino Rigoli, salvo poi arretrare nelle gerarchie a seguito dell'arrivo di Giovanni Marchese (anch'egli uno dei tanti arrivi che non ha colmato una lacuna ma, anzi, ha congestionato un reparto che era già coperto).
Tra le scelte influenzate da Argurio rientra certamente quella di puntare su un paio di under che aveva contribuito personalmente a portare a Catania tanti anni prima: Barisic e Lovric. Lo sloveno è stata una vera e propria croce e delizia: per diverse stagioni ci si è interrogati sul suo ruolo (cresciuto come ala, è stato utilizzato in quella posizione da quasi tutti i suoi allenatori, ma il rendimento incostante ha portato i più a ritenere che dovesse essere provato in una posizione più accentrata). Poi, dopo il rientro dal prestito alla Fidelis Andria, complice anche l'infortunio di Caccavallo, ha trovato la propria dimensione con Lucarelli, agendo da esterno destro sia nel 4-3-3 che nel 3-5-2 e realizzando diversi gol pesanti. Purtroppo tali premesse e promesse non sono state confermate nell'annata appena conclusa, in cui dopo la cessione in prestito al Padova in B è rimasto bloccato da un infortunio.
Se l'utilizzo di Barisic può rientrare a pieno titolo in quei tanti casi di promesse (almeno in parte) disattese, quello di Lovric è un autentico enigma. Dopo i prestiti al HNK Sibenik ed all'Alessandria delle ultime due stagioni, il croato è stato scelto quale quarta opzione nel settore dei centrali difensivi, occupando uno degli slot riservati ai calciatori delle classi '96 e '97. E' stato preferito nelle gerarchie ad un altro difensore proveniente dal settore giovanile, Bonaccorsi, mentre un altro pari ruolo, Mario Noce, autore di una splendida prestazione in Coppa Italia ad agosto, è stato prestato al Cesena. Ebbene, in tutto il campionato Lovric ha collezionato soltanto 53 minuti, con un'unica occasione da titolare, nella partita d'andata col Potenza, sprecata malamente (si è fatto sovrastare dal trentottenne Franca in occasione dell'1-0 dei rossoblù). Di difensori centrali classe '96 e '97 con diversi gettoni da titolare alle spalle, che possano dare maggiori garanzie, in terza serie se ne trovano. Il Catania è stato a lungo privo di Esposito, ovvero la prima alternativa ai titolari Aya-Silvestri. Perché Lovric è stato confermato tutto l'anno, per poi non essere mai utilizzato, neanche in situazioni di emergenza, nelle quali si è chiesto a Biagianti di arretrare in difesa? Mistero.
Un'ultima considerazione la merita un'altra scoperta di Argurio, vale a dire Fran Brodic. Altro giocatore utilizzato col contagocce dagli allenatori che si sono succeduti dal suo arrivo a Catania. Il croato ha fatto intravedere buone qualità tecniche, sublimate dai gol al Rende ed in Coppa Italia al Sassuolo. Ma è parso, allo stesso tempo, fisicamente inadatto al calcio "feroce" che si gioca in Serie C, peccando di scarsa furbizia e personalità in molti duelli coi difensori avversari. Anche lui ha occupato una delle caselle riservati ai '96 e '97, la stessa categoria alla quale apparteneva Andrea Di Grazia. Provare a trovare nuovi talenti esotici, "alla Bogdan", che possano generare future plusvalenze, è sicuramente opera meritoria. Ma se la prospettiva è quella di vederli sistematicamente esclusi dall'11 titolare, allora è molto meglio puntare su giovani che conoscono la categoria...