Ricordando Mimmo Renna

Gianni Di Marzio insieme al compianto Mimmo Renna

Gianni Di Marzio insieme al compianto Mimmo Renna 

Il ricordo Mimmo Renna, scomparso quest'oggi, in un'intervista del nostro Alessandro Russo di qualche anno fa...

Catania, 2 febbraio 2016
Il protagonista di quest’intervista è un cittadino leccese ex-calciatore dell’ex-Belpaese. Per i suoi prepotenti dribbling sui rettangoli verdi lo chiamavano il "Garrincha dei poveri"; appese le scarpette chiodate al muro, negli anni ottanta allenò le due maggiori squadre di Trinacria, lasciando nelle due sponde isolane un’impronta umana assai intensa.

«Partiamo da Bologna, – mi confida pacatamente Mimmo Renna- un ricordo intramontabile con l’unico spareggio per il Tricolore del pallone italiano. Vincendo a San Siro sul Milan per 2-1, il primo marzo 1964 superiamo a pieni voti l’esame di maturità. Abbiamo un punto di vantaggio sui rossoneri e due sull’Internazionale, ma scoppia uno scandalo relativo alla partita vinta un mese prima sul Torino. Cinque miei compagni vengono trovati positivi all’antidoping, ci danno partita persa, ci appioppano un punto di penalizzazione e mister Bernardini viene squalificato. La città delle due torri è in rivolta e un gruppo di professionisti si rivolge alla magistratura. Nuove analisi dimostrano che le anfetamine sono state aggiunte alle urine in un secondo tempo. La quantità è tale che avrebbe ucciso un cavallo, l’imbroglio viene scoperto e arriviamo in forma allo spareggio del 7 giugno. La nostra è una storica vittoria per 2-0 sulla formidabile Inter. ‘Così si gioca solo in paradiso’ ripete in giro Fulvio Bernardini.

Se penso all’esperienza di allenatore e ai record ad Ascoli nella stagione 1977-’78, ti dico che è stata fin dall’inizio una volata senza avversari. Una dittatura sportiva improntata su un calcio moderno e giovane con una manovra ariosa e brillante. Quella squadra non aveva punti forti ma soprattutto non aveva punti deboli e la nostra filosofia ci consentì di ammazzare il campionato già dopo poche giornate. Era un collettivo guidato dalla sapiente regia di Adelio Moro ma che si esprimeva grazie allo sforzo di tutti. La cosa più importante fu la capacità di accettare e assimilare in breve tempo le nozioni tattiche che volli esprimere. Fu un merito condiviso, perché tutti hanno dato il massimo in perfetta intesa.

Mimmo Renna insieme a Costantino Rozzi ai tempi di Ascoli 



Da tecnico non posso certo dimenticare i derby col Catania quando guidavo il Palermo. Nel primo anno la squadra era molto forte, giocava bene e lottava per la A, ma al Cibali perdemmo 3-1; nel ritorno vincemmo con un gol di Montesano ma subimmo la sconfitta a tavolino per una sassaiola ai danni del pullman del Catania. La serie A però l’avevamo già vista sfumare qualche giornata prima con due sconfitte esterne con Pisa e Varese. L’anno successivo ricordo il pareggio alla Favorita per 0-0, contro il manipolo di Gianni Di Marzio, un caro amico già mio compagno nel corso di Coverciano. La sconfitta del Palermo nel derby di ritorno non mi vide protagonista perché fui allontanato dalla panchina, sulla quale i dirigenti rosanero vollero il mio vice Del Noce. Quella gara portò al ‘ri-cambio’ di panchina con società e giocatori che mi pregarono di ritornare. Accettai e il Palermo si salvò, mentre il Catania andò in serie A…»

«Ma quanto influì –lo interrompo – l’allontanamento del direttore sportivo Giacomino Bulgarelli nella seconda parte del torneo 1984-‘85 quando lei era trainer del Catania ?»

«Questa è una bella domanda,- risponde un Mimmo Renna sorridente- forse qualcuno ricorda che quella stagione fu controversa ma che l’avvio di campionato fu entusiasmante. Al fianco del mio amico ed ex compagno di squadra nelle vesti di d.s, chiudemmo l’andata al terzo posto, poi un’incomprensione con la dirigenza portò Giacomino a rinunciare all’incarico. Non so dire quanto abbia influito, di certo Bulgarelli era un grande intenditore di calcio e la sua esperienza e professionalità avrebbero potuto incidere sul buon esito della stagione, specie in riferimento al settore giovanile, che proprio in quegli anni con l’arrivo di flotte di giocatori stranieri entrava in crisi. Mi torna in mente Pedrinho, un terzino con caratteristiche tecniche eccellenti ma non sempre puntuale nei rientri e che talvolta concedeva agli avversari la sua zona. Era un calciatore di valore, del resto aveva fatto 13 presenze nella Nazionale brasiliana ed era stato ai Mondiali ‘82, al fianco di fenomeni come Zico e Falcao. Lo chiamavamo Pedro e tirava punizioni e corner con ottimi risultati; quell’anno lo feci giocare a centrocampo dove dimostrò le sue buone caratteristiche. In B però doveva dare maggior qualità ed esser più padrone delle sue notevoli doti tecniche. In quella stagione fu comunque il miglior marcatore del Catania con 7 reti. Significherà qualcosa. Nel gruppo c’era pure Luvanor, arrivato anch’egli l’anno prima. Ricordo che nella massima serie non aveva segnato nemmeno una rete e fece poco anche in B. Era uno di quei giocatori giovani che davano l’impressione di aver tutte le carte in regola per sfondare nel nostro calcio, epperò non riuscì ad esprimere il suo potenziale, rimanendo lunghi periodi fuori dal gioco della squadra».

«Passiamo alle dolenti note, -lo incalzo- le chiedo un pensierino sull’inchiesta ‘I treni del gol’ e un giudizio sul Lecce attuale».

«La cronaca giudiziaria -replica con fermezza- non mi ha mai appassionato tanto più se riferita al calcio. Certamente ciò che è stato rivelato, attraverso fiumi di indagini e intercettazioni telefoniche, è deprimente perché ha strappato ai tifosi l’orgoglio di un’epoca felice per il pallone etneo. Mi spiace molto, soprattutto per i ricordi che mi legano a Catania, per la sua gente innamorata di calcio e per quello che negli anni ottanta si faceva nel poco e a prezzo di mille sacrifici. Non entro nella vicenda ma auguro ai miei amici catanesi di tornar presto a gustare il sapore del calcio che conta. Sono molto legato alla terra siciliana dove ho avuto l’opportunità e il privilegio di allenare le due squadre più blasonate dell’isola e anche il Giarre molti anni dopo. Per me la Sicilia è una seconda patria.

Per quanto riguarda il Lecce, ti dico che ha subito la stessa sorte ed è stato vittima di un declassamento che ha provocato molto malumore in Salento, innalzando notevolmente il livelli di nostalgia. A ciò va aggiunto il fatto che la transizione non è stata ben organizzata e, trascorsi gli anni d’oro della gestione del mio caro amico Giovanni Semeraro, il resto è stato deludente. Due promozione mancate consecutive, con il Lecce della dirigenza Tesoro che perde due edizioni dei play-off e che rimarrà alla storia per il numero spropositato di avvicendamenti in panchina, con allenatori che andavano, venivano, tornavano e sparivano dal giro.
Oggi, il Lecce, tornato ai leccesi, ritorna anche nel cuore di tutti i tifosi. Il campionato sta andando bene. La squadra di Piero Braglia, che è stato mio giocatore a Catanzaro in B nel 1983-‘84, sta mostrando qualità e concretezza. Qualche correzione di registro la vedrei bene in attacco, dove i giallorossi non hanno il passo dell’armata che potrebbe vincere il campionato a mani basse, per il resto sarà una corsa spietata fino alla fine con Benevento e Foggia che mi sembrano le principali concorrenti per il salto in B. Il Catania poteva esserlo, senza la pesantissima penalizzazione ma il campionato è ancora lungo per tutte».

pubblicato su Sicilia Journal nel febbraio 2016