Pagani ente

Plasmati, errore decisivo...

Plasmati, errore decisivo... 

Max Licari sulla deprimente esibizione dei rossazzurri a Pagani. Squadra senza attributi, tecnico deludente, play-out vicinissimi

Tutto ovvio… play-out a un passo
Se qualcuno aveva sperato realmente che una squadra “capace” di racimolare due punti e tre gol in trasferta nel girone di ritorno potesse andare a Pagani, pur al cospetto di una formazione assai rimaneggiata e priva dopo 15’ del proprio giocatore migliore, Caccavallo, a fare un sol boccone dell’avversario, beh, si sarà ritrovato a fine gara a recitare la parte del “solito illuso di sempre”, di lauziana memoria. Il Catania, anche al “Torre”, ha dimostrato di essere quello che realmente è: una compagine di giocatori senza attributi, mal amalgamata, mal preparata e mal allenata. Nella partita che si doveva vincere a tutti i costi, tanto più che già dopo una decina di minuti gli scontati risultati di Ischia e Monopoli imponevano una condotta a senso unico, i rossazzurri si sono trascinati sul campo per 90’ minuti al ritmo di una comitiva di turisti tedeschi all’Isola Bella, subissati sotto il profilo della motivazione e del tono atletico da un manipolo di mestieranti di categoria (in buona parte, a loro volta riserve di mestieranti), senza mai dare l’impressione di avere la voglia e i mezzi fisici per dare una sterzata netta all’inerzia di un match indirizzato dagli “azzurro stellati” fin dall’inizio verso lo 0-0. Una squadra che vuole risparmiare l’onta dei play-out a una tifoseria affranta da anni di nefandezze non gioca come a Pagani, non si propone come a Pagani e, soprattutto, cerca di evitare di non indirizzare un tiro verso la porta avversaria, peraltro affidata a un ragazzino di 17 anni incapace di trattenere un pallone, come fatto da “capitan” (le virgolette sono d’obbligo per un giocatore che delle caratteristiche di un capitano non ha nemmeno l’ombra) Calil e soci, in special modo nella ripresa. Lo specchio del Catania di questa stagione è l’errore di Plasmati al 41’: “cappellata” di Borsellini, palla al centravanti materano che, con tutto lo specchio della porta libero, indirizza l’appoggio sul palo esterno. Un “abbaglio” tipico di chi non ha la lucidità mentale per giocare dal primo minuto, oltre che mezzi tecnici (e questo lo si sapeva) non certo eccelsi. Quando, in una partita del genere, fallisci occasioni simili, poi non ti puoi lamentare. Come non tu puoi lamentare se il tuo supposto “uomo in più”, sempre il già citato “capitano”, al 92’ (minuto in cui il Monopoli, per esempio, aveva segnato il gol vittoria a Catanzaro) non riesce ad appoggiare con qualsiasi parte del corpo un pallone a mezzo metro dalla linea di porta, mostrando ancora una volta le movenze del bradipo del Guatemala. Prima e in mezzo alle due uniche palle gol create in tutto la gara dai rossazzurri, il Nulla. Niente gioco, niente “gamba”, niente testa, niente cuore. Zero, Niente di niente. Solo cupa disperazione generata nell’anima dei disperati supporters presenti in Campania e in coloro che seguivano il misfatto in televisione. Il Catania, al momento, merita di andare a giocarsi i play-out. E, del resto, le chance che ciò non accada sono ormai quasi azzerate, direi non più di un 1%, proprio perché questa è la Lega Pro; ed è pressoché impensabile che, all’ultima giornata, possa accadere che una squadra senza alcuno stimolo di classifica come il Matera non molli la presa contro un avversario motivato come il Monopoli. Il Catanzaro non lo metto nemmeno in conto, perché questa “legge” con il Melfi va considerata come una verità al cubo. Quindi, il Catania si trova a un passo da un’ulteriore ignominia, gli spareggi per non sprofondare nei dilettanti, per evitare la terza retrocessione consecutiva, un record mondiale che sarebbe difficilmente battibile nei secoli a venire.

Moriero sbaglia tutto
Avevo sperato non lo facesse. L’ha fatto. Nella partita decisiva, ha messo in campo il solito 4-2-3-1 inadatto alla composizione della rosa e infruttuoso in termini di gioco, spezzando la squadra in due tronconi (come a Foggia) e sguarnendo il centrocampo, in modo tale da “offrirsi”, da “consegnarsi” alla semplice tattica attendistica di Grassadonia, abile a munire le corsie laterali (in specie con il bravo Dozi) e contento di poter usufruire di ampi spazi per le ripartenze dei suoi ragazzotti, non andate a buon fine per l’infinita scarsezza, deprimente scarsezza degli interpreti (parlo dei 22 in campo, chiaramente, non solo dei pur volenterosi giocatori di casa). Quattro attaccanti, di cui due notoriamente "passeggianti" in campo (Calil e Calderini), uno che non ha più di una trentina di minuti d’autonomia (Plasmati) e l’altro che, pur complessivamente rivelandosi il migliore per condizione e qualità tecniche, mostra limiti caratteriali evidenti nelle gare in trasferta (Russotto). Due centrocampisti, di cui uno palesemente non in condizioni fisiche smaglianti (Castiglia). Quattro difensori, di cui tre “bloccati” (Pelagatti, Bergamelli e Bastrini). Questa la “pensata” di Moriero. Non una buona "pensata". Alla fine dell’inguardabile prima frazione, mi sono scoperto inginocchiato davanti alla nicchia votiva dedicata a San Simeone da Buenos Aires presente nella mia cantina. Pregavo: cambia, cambia, cambia, Francesco! Cambia subito, al 46', metti un centrocampista in più, magari Agazzi, in modo da riequilibrare la squadra e avere qualche chance di fare un po’ di gioco… Niente. Primo cambio, lo stesso Agazzi per l’ammonito Di Cecco (quindi, non tattico, ma ruolo per ruolo) a circa 20’ dal termine del match. Che cosa possiamo pretendere? La mediocrità della squadra è generale, da chi l’ha composta a chi l’allena, per finire a chi va in campo. Nella maggior parte dei casi, si tratta di gente destinata a sbaraccare a fine stagione perché inadeguata alla piazza. Se uno come Pelagatti si fa espellere per proteste nell’infuocato finale, riducendo al lumicino le speranze di far gol dei compagni, significa che non si è compreso nulla, che la testa è altrove, checché ne dica il “motivatore” Moriero. Il fatto che si stia per inciampare nei play-out non può essere considerato un “caso”. Se il Catania, a un certo punto, non ha funzionato più, la colpa non poteva di certo essere solo dei Pancaro o degli Scarsella, giacché i sostituti non si sono dimostrati per nulla superiori. E non mi si venga a cercare l’alibi della penalizzazione, del “settimo posto” virtuale, perché una squadra che dopo tre giornate ha annullato la penalizzazione, una squadra che si chiama Catania, come minimo dovrebbe trovarsi a giocare i play-off, altro che play-out quasi certi! Un fallimento. Totale. Un fallimento che dovrà non divenire vergogna imperitura. Che almeno si salvi la categoria, seppur passando dalle assai probabili “forche caudine” degli spareggi di fine maggio (21 e 28 le date fissate). Poi, a casetta. Inadeguati. Quasi tutti. Non tecnicamente, sia chiaro, ma a livello di attributi. E, a Catania, se non li hai, non puoi rimanere.

Battere l’Andria e…
… non sperare, non illudersi. Chi di speranza vive, disperato muore. La squadra abbia la dignità di chiudere il campionato con una vittoria contro un avversario privo di stimoli e da subito, se le cose andranno secondo logica, cominci a prepararsi alle due sfide decisive o con l’Ischia (alla settima sconfitta consecutiva) o con il Martina Franca, due formazioni con le quali, in trasferta, il Catania ha perso. Se, poi, accadrà il miracolo, meglio. Ma non ci sarebbe nulla da festeggiare comunque. Ormai, il danno è fatto. Se mi avessero detto, tre anni fa, che avrei trascorso 90’ mendicando un golletto a Pagani, mi sarei messo a ridere. Come un vero e proprio cretino. Che pena.... Let’s go, Liotru, let’s go!!!