Massimino, Maradona, "La Sicilia" e Catania

Alcune pagine de

Alcune pagine de "La Sicilia" del periodo del Catania di Massimino 

Una città alla ricerca della coerenza...

A Napoli, qualche settimana fa, in giro tra un meraviglioso dedalo di viuzze, scorgevo ad ogni incrocio l’effigie di Diego Armando Maradona. Tabacchini, edicole, chioschi, rivendite di souvenir, alberghi, empori e ristoranti ostentavano con imperiosa fierezza la sacra immaginetta azzurra raffigurante il riccioluto Pibe de oro. “Anche la mia città –pensavo tra me e me- ha avuto il suo Diego Armando Maradona” e intanto mi tornava in mente lo storico presidente rossazzurro scomparso ventun anni orsono che di nome faceva Angelo e di cognome Massimino. Propriamente fino a non molto tempo fa ogni anno il primo rendez-vous calcistico nella città del liotru era il “Memorial Massimino”, poi allorquando il Catania raggiunse l’olimpo del pallone Pulvirenti e Lo Monaco fecero scomparire l’usanza di onorare la memoria di Angelo Massimino.

Nondimeno questo signore qua era un catanese doc e mi piace ricordarlo come un uomo capace di tutto, fuorché arrendersi. Appena ventiduenne gli toccò emigrare in Argentina e colà s’improvvisò muratore, imbianchino, idraulico, elettricista e poi imprenditore. Il suo sogno era star a capo del Catania calcio e quando ciò accadde correva l’anno millenovecentosessantanove. Quella volta fu come se sulla luna ci fosse andato per primo lui, Angelo Massimino. Per quasi un trentennio, la sua vita fu segnata dagli oscillanti ritmi dei risultati domenicali del Catania; la passione era genuina e la conduzione del club ne rispecchiava l’indole focosa e controversa. Era un uomo dai grandi valori e generoso come pochi; la mattina vendeva i suoi appartamenti, nel pomeriggio comperava nuovi giocatori e li vestiva di rossazzurro. Era Massimino uno carico di istinti fanciulleschi e, se la domenica si perdeva, la sua giornata era adombrata da un velo di tristezza. Sentiva franare il terreno sotto i piedi e avvertiva un unico desiderio: isolarsi da tutti. Se il Catania invece vinceva, l’intera città lo inneggiava e Massimino diventava l’uomo più felice al mondo.

Angelo Massimino era mio nonno per parte materna e sin da bambino io adoravo stargli vicino durante le infuocate partite giocate nel catino del vecchio Cibali. Appena imparai a leggere mi accorsi che il quotidiano “LA SICILIA” perseguitava mio nonno con ininterrotti attacchi giornalieri e cominciai a soffrirne molto. Grazie al Cielo, la persona che avevo accanto non mi pareva un nonno in carne e ossa ma una roccia di pietra lavica indistruttibile. Di certo Angelo Massimino non era un santo: errori ne commise parecchi, alcuni dei quali gravi. Penso a Giacomino Bulgarelli, che non era solo un direttore sportivo ma un gentiluomo a cui mio nonno sventolò senza motivo il cartellino rosso sotto il naso.

“LA SICILIA” però ne faceva una questione personale. Non si trattava di un semplice tiro al bersaglio, bensì di una vera e propria guerra. Avevo diciotto anni quella volta che il giornale diede voce a molti catanesi illustri e puntò il dito sul fatto che Massimino non volesse vendere il Catania. «Disinteresse, apatia, rifiuto al colloquio, -scrisse in quell’occasione Giovanni Tomasello- ecco cosa è venuto fuori dalle nostre telefonate. Dal politico al nostro atleta di belle speranze: tutti rifiutano il Catania di Massimino destinato a fare una fine patetica. E' il nostro ennesimo amaro riscontro, di più non possiamo proprio fare. Tocca agli altri agire…»

Epperò appena nove giorni fa, non senza meraviglia nella cronaca sportiva de “LA SICILIA” mi capita sotto gli occhi un singolare articolo. Codesto pezzo giornalistico intitolato “UN TENTATIVO DI RINASCITA, PULVIRENTI ORA PARLI LEI” prende spunto dalle conseguenze dell’inchiesta giudiziaria “I TRENI DEL GOL”. «Ma il Catania – parola di Giovanni Tomasello- è risaputo che è stato più di una volta maltrattato. Basta solo ricordare le battaglie dell’indimenticabile Angelo Massimino che non abbandonò mai la sua “creatura” calcistica perdendo pure la vita in un incidente stradale al ritorno da Palermo dov’era andato a difendere la causa rossazzurra».

Non mi resta ordunque che meditare su uno dei mali della società contemporanea: il tramonto della coerenza. Penso anche all’avvocato Enzo Ingrassia, mio professore all’istituto Leonardo Da Vinci e uomo di fiducia di Massimino nei suoi ultimi anni di vita. Era Ingrassia uno dei relatori alla presentazione della mia prima fatica letteraria “Angelo Massimino, una vita per (il) Catania”. Seduto tra me e mia nonna Grazia Codiglione, intrattenne i presenti alla Baia Verde sciorinando una serie di aneddoti sull’enorme carica umana di mio nonno. Mai dimenticherò, di contro, quel che accadde anni dopo allo Sheraton quando fu presentato un libro sugli strafalcioni linguistici dei presidenti di squadre di pallone dell’intero stivale italico. Quella sera Ingrassia, nel goffo tentativo di far vendere qualche copia in più ai due autori (entrambi catanesi e giornalisti), dipinse mio nonno come uno dei più grandi nemici della grammatica italiana. Si trattava d’una gara a chi raccontava le barzellette più saporite che vedevano protagonista mio nonno. In platea signori incravattati e ingioiellate signore ridevano a crepapelle; mi toccò salire sul palco senza autorizzazione per mettere i puntini sulle ‘i’.

Prima dei saluti di rito, riempio le ultime righe che ho a disposizione ritornando al “Memorial Angelo Massimino”. Per provare a ricostituire “l’amalgama” tra Pietro Lo Monaco & Nino Pulvirenti e questa città chiamata Catania esiste probabilmente un’infinita gamma di possibilità. Secondo me, all’interno di quest’infinita gamma di possibilità non c’è spazio adesso per la riesumazione del trofeo “Angelo Massimino”.

Buon pomeriggio.

Alessandro Russo