Come siamo andati in Serie A: secondo e terzo capitolo

Foto: Archivio Alessandro Russo

Foto: Archivio Alessandro Russo 

Secondo appuntamento con le memorie rossazzurre di Mario Corti, giocatore del Catania dal 1957 al 1964

Buongiorno, buongiorno.
Benarrivati dalle nostre parti e benvenuti in questo luogo un po’ fatato ove sarà possibile fare un gigantesco salto all’indietro nel tempo, rimanendo però arpionati al presente.
Questa è la seconda puntata della rubrica Come siamo andati in serie A, dal titolo cioè d’un libricino buttato giù all’incirca sessant’anni orsono dal nostro ex-calciatore Mario Corti.
Così come sette giorni fa, anche quest’oggi parleremo anzitutto di passato remoto rossazzurro ma daremo perfino una lesta occhiata alle vicende del presente. Tutto questo grazie a Rosario e Carmelo, due signori che vi ho presentato settimana scorsa e che mi onorano della loro amicizia. Con loro, non ogni giorno ma sovente, capita che discuta io d’un elefante che gioca a pallone.
«Mannaggia, -attacca Rosario con una punta di dispiacere- chi mali frusculi; non siamo più in A ma annaspiamo al quarto posto di un bruttissimo campionato di C. Stiamo dietro a Juve Stabia, Catanzaro e Trapani, u sapiti chi vi ricu: macari a st’annu mi siddiai!»

Visto che stiamo disquisendo di attualità, oltre a riportare il pensiero di Rosario, giunto è il momento di trascrivere che i nostri dirigenti le stanno tentando tutte per vincere questo benedetto torneo di terza serie, impegnandosi nel possesso pieno delle loro facoltà. Lo scorso venerdì, in virtù dei non proprio eccellenti risultati sportivi, hanno addirittura deciso di far ricorso a un vecchio rituale scaramantico. Quel pomeriggio in via Magenta, a Mascalucia, nel salone congressi di Torre del Grifo faceva la sua comparsa un uomo corpulento e ben vestito, occhialuto e incravattato. In previsione di Viterbese-Catania, questo signore inizialmente si è accostato con delicatezza a un noto protocollo propiziatorio. Poi, di botto, come una marionetta, ha ripetutamente alzato tutte e due le braccia, entrambi i gomiti e le mani verso il Cielo. A quel punto, seguendo un cerimoniale preistorico, ha invocato a squarciagola l’organo sessuale maschile.

«U risuttato –parole di Carmelo- fu ca a Viterbo pessimu st’autra pattita. Ci fu un cristianu ca si chiama Polidori ca duminica faceva u compleanu, ca u sapiti chi fici? Astutau i cannilini e poi ci abbaiu du puppetti o’ Catania. Aieri matina arrivau nautru allenaturi, Novellino e macari nautru putteri, Bardini, ca viremu…»
Mentre trascrivo queste brevi ma stuzzicanti considerazioni, un pizzico si rafforza la mia idea che di certo ci rifaremo la prossima volta, sarebbe a dire alle due e trenta del pomeriggio di domenica tre marzo duemilaediciannove. Quel giorno, infatti, nella centralissima piazza Spedini della città etnea, si svolgerà la partita di pallone tra Catania e Potenza, valevole per la decima di ritorno del campionato di serie C, girone C.
Adesso, però, la palla è il caso che la passi al signor Mario Corti e agli altri due deliziosi capitoli del suo Come siamo andati in serie A, stampato nella città del liotru nel giugno del millenovecentosessanta.
Chapeau!

Rosario e Carmelo, cuori rossazzurri... 




SECONDO CAPITOLO: LA SQUADRA DELLA PROMOZIONE
Quando venni lo scorso anno a Catania per iniziare la preparazione al campionato che abbiamo appena concluso con la promozione, chiesi subito in società quali sarebbero stati i miei nuovi compagni di squadra. Avevo sentito un mucchio di voci in giro, avevo letto un pozzo di nomi sui giornali, ma si sa che ad ogni inizio di stagione tanta gente si diverte ad inventare trasferimenti ed a varare ipotetiche formazioni. Così chiesi al dott. Marcoccio, commissario straordinario della Lega, chi erano gli acquisti del Catania per il 1959-60. Mi rispose: «Ferretti, Michelotti, Boldi II, Gaspari Morelli, Biagini». A questi più tardi dovevano anche aggiungersi quelli di Compagno e Boldi III ed in più c'eravamo noi della “vecchia guardia”, quelli che eravamo rimasti dalla sfortunata annata precedente, e cioè: io, Seveso, Grani, Prenna, Buzzin, Macor, Bonci, Salmeri, Caceffo, Veglianetti e Francia.

Quando sentii i nomi dei “nuovi” e mi resi conto che quasi tutti i “vecchi” eravamo rimasti, allora cominciai a credere nella promozione in Serie A, anche tenendo in considerazione il fatto che di promozioni ce n'erano assicurate tre e che di squadre fortissime sulla carta, eccezion fatta per il Torino e forse per la Triestina, non ce n'erano tante in giro. A dire il vero, il mio ottimismo non era condiviso da molti: la maggior parte credevano che il nostro fosse soltanto un campionato di assestamento e che, semmai, alla promozione si sarebbe pensato l’anno prossimo. I fatti hanno di­ mostrato che io avevo visto giusto e che fortunatamente erano gli altri a sbagliarsi.

Ricordo la prima volta che andammo, lo scorso anno, al Cibali ad allenarci. Guardavo con una certa curiosità Ferretti, che sapevo doveva fare coppia con me nella linea mediana, e ad essere sincero non mi sembrava un gran che a vederlo così in borghese. Quando fummo sul campo e cominciò a tirar calci al pallone dovetti invece ricredermi. E di molto anche. Ferretti, infatti, è stato sempre tra i migliori quest’anno e si è guadagnato gli applausi di tutti i pubblici che ci hanno visto giocare. Con lui nella mediana mi sono trovato benissimo e credo che abbiamo integrato a vicenda il nostro gioco rendendolo quanto più possibile vicino a quelle che sono state le esigenze della squadra. Fuori dal campo Ferretti è un mattacchione. Ci fu un periodo che faceva scherzi a tutti, specie quando eravamo in trasferta e la monotonia dei “ritiri” pareva dovesse sommergerci tutti.

In occasione della duplice trasferta di Modena e Parma andammo a stare quindici giorni in un albergo nei pressi di Sassuolo, in provincia di Modena. “La Salvarola” si chiamava quest'albergo ed era molto bello ma anche molto isolato sicché tutto il giorno non c'era proprio nulla da fare inoltre eravamo sotto le feste di Natale, faceva un freddo che levati, pioveva assai spesso, c'era nebbia, nevischio bufere, neve, di tutto insomma. Così Ferretti passava le sue ore a suonare il juke-box dell'albergo, e lo suonava... gratis. Aveva scoperto, infatti, che invece delle cento lire per tre dischi bastava mettere due monete da dieci lire e poi ancora un’altra da cinque perché la “macchina” manovrata a dovere con leggere pressioni sull'apposito tasto, scattasse lo stesso e col duplice vantaggio di poter scegliere dischi all’infinito e di recuperare anche le venticinque lire che erano state introdotte per metterla in movimento. Una sera con questo sistema arrivammo persino a suonare tutti e duecento i dischi che il juke-box comprendeva. I proprietari dell'albergo credevano naturalmente di fare tanti quattrini a questo modo, invece quando andarono ad aprire la cassettina degli incassi e la trovarono pressoché vuota capirono il... trucco. Ma erano brava gente e non si arrabbiarono, d'allora in poi tennero soltanto d'occhio Ferretti tutte le volte che lo vedevano armeggiare attorno alla “macchina urlante”.

Dell'albergo “La Salvarola” ricordo un’altra cosa. C’era freddo, vi ho già detto, e tutte le stanze con riscaldamento le avevamo occupate noi della squadra, sicché c'era un vecchio cuoco fiorentino che, piuttosto che andare a dormire in una stanza piena di freddo, preferiva alla sera prepararsi il letto nel corridoio dove passavano i tubi delle stufe e dove c'era perciò un bel calduccio. Il malcapitato, però, non aveva fatto i conti con alcuni dei miei compagni i quali una notte gli portarono via mentre dormiva, tutte le coperte ed un'altra notte gli misero attorno al letto alcune candele accese: tutte due le volte il cuoco si arrabbiò e così la smisero di far gli scherzi. La smisero anche perché qualcuno disse in giro di averlo sentito minacciare che ci avrebbe... avvelenato tutti. Di certo c'è che dopo questa notizia molti a tavola guardava no con una certa diffidenza la minestra.

Il grande Catania degli anni sessanta 



TERZO CAPITOLO: I MOMENTI PIÙ DIFFICILI DEL CAMPIONATO
Adesso voglio raccontarvi quali sono stati i momenti meno belli per me nello scorso campionato. Anzitutto c’è l'episodio di Monza che mi sta sul gozzo e per il quale mi arrabbio ancora adesso tutte le volte che ci penso. A Monza ci tenevo a fare una bella partita di fronte al mio vecchio pubblico, e ce la misi tutta quel giorno, corsi come un dannato dovunque vedevo che potevo rendermi utile. Sembrava andasse proprio bene per noi perché vincevamo per uno a zero e la partita andava esaurendosi lentamente, ormai mancavano pochi minuti alla fine ed il pubblico già cominciava a sfollare, anche gli avversari parevano rassegnati alla sconfitta. Invece, proprio all’ultimo minuto di gioco, su una punizione in seconda contro di noi stoppai malamente il pallone e glielo misi proprio sui piedi a Carminati appostato a pochi metri da Gaspari. Quel gol non si poteva sbagliare ed infatti Carminati non lo sbagliò ma ne fece tesoro per pareggiare una partita che era persa per loro. Quella volta uscii dal campo completamente avvilito, invano rincuorato dai compagni e dallo stesso allenatore Di Bella. Ancora adesso, vi ripeto, se penso a quella partita mi arrabbio maledettamente con me stesso!

Un altro fatto antipatico, stavolta però fuori dal campo, si verificò a Novara in una delle quattro volte che vi andammo quest'anno per giocarvi quella partita che alla fine dovevamo incredibilmente perdere. Venivamo dai pareggi di Lecco e Mantova, anzi era proprio la domenica sera della partita di Mantova da dove ci eravamo portati a Novara dove avremmo dovuto giocare poi il giovedì. La notte mi svegliai con un mal di denti terribile, uno di quei mal di denti che quando arrivano pare che vi strappino via il cervello. Dapprima cercai di calmarlo con qualche pastiglia datami dal nostro massaggiatore Pallotta, ma era tutto inutile e mi veniva persino da piangere dal dolore. Così ad un certo punto mi vestii e me ne andai in giro di notte per Novara finché non venne l’alba; allora cercai un dentista, ma era ancora troppo presto ed erano tutti chiusi. Mi sembrava di non poter più resistere, mi sentivo a pezzi, ero disfatto. Per fortuna trovai un meccanico dentista, uno di quelli - sapete - che, volgarmente parlando, preparano le dentiere o roba di questo genere, e chiesi aiuto a lui. Dapprima mi disse che non era autorizzato a fare estrazioni, poi dovette commuoversi del mio stato perché mi portò nel suo gabinetto dentistico, o come diavolo si chiama, e mi estirpò il dente malato e con esso il dolore che mi tormentava. Adesso non rammento neanche come si chiami questo galantuomo, ma so soltanto che gli rimarrò eternamente riconoscente, perché se continuava ancora un po' quella volta a Novara io ammattivo davvero.

Naturalmente nei miei ricordi poco lieti di quest'anno trova posto la sfortunata partita di Brescia che ha concluso il nostro campionato e che ci ha fatto temere per qualche minuto di essere stati raggiunti in classifica dalla Triestina che ci ha dato fino all'ultimo una caccia spietata per contenderci la promozione. Dalla fine della partita di Brescia fin tanto che seppimo del pareggio della Triestina a Parma (il che ci garantiva la Serie A) passarono si e no poco più di cinque minuti, ma furono minuti veramente terribili, drammatici, estenuanti, lunghissimi. Eravamo seduti sulle panche dello spogliatoio bresciano e non ce la facevamo nemmeno a spogliarci dalla tenuta di gioco, eravamo come annientati, molta gente intorno piangeva, c'era il commissario Marcoccio che si struggeva come se gli fosse successa una disgrazia in famiglia, insomma il nostro spogliatoio era proprio il quadro della disperazione. Poi ci portarono la notizia del pareggio tra Parma e Triestina, cioè ci dissero che malgrado la brutta sconfitta eravamo lo stesso in Serie A, ed allora quelli che prima piangevano dalla disperazione si misero a piangere dalla gioia, successe una confusione tremenda, non ci capimmo più niente. Posso dirvi soltanto che tanta gente (conosciuta ed anche sconosciuta) come quel giorno non l'ho abbracciata e baciata mai. Poi alla sera, io che sono un astemio convinto, trangugiai ben ventitré (li contarono gli altri, perché io ero già “svanito”) bicchieri di liquore e mi presi la più colossale sbronza che mai ricordi. Il tutto dedicato alla sudatissima ma ormai finalmente raggiunta promozione in Serie A.

PROSSIMI CAPITOLI

4. LA VALIGIA DI BIAGINI
5. L’AVVENTUROSO RITORNO DA MODENA A PARMA