Come siamo andati in Serie A: quarto e quinto capitolo

Foto: Archivio Alessandro Russo

Foto: Archivio Alessandro Russo 

Terzo appuntamento con le memorie rossazzurre di Mario Corti, giocatore del Catania dal 1957 al 1964

Anno duemilaedicannove, addì sette del mese di marzo, santa Felicita martire, va in onda in questo istante la terza puntata d’una trasmissione on line interamente dedicata alla storia pallonara d’una società sportiva che -dall’atto di nascita- porta con sé il numero di matricola undicimilaesettecento. Il titolo di codesta rubrica lo spunto lo prende da un delizioso volumetto che s’intitola per l’appunto Come siamo andati in serie A e che è stato buttato giù quasi sessant’anni orsono da un celebre ex-calciatore rossazzurro.
Nell’epoca della connessione permanente, chiunque ne avesse voglia avrà oggi la possibilità di scaricare prima e conservare poi La valigia di Biagini e L’avventuroso ritorno da Modena a Parma, sarebbe a dire altri due gustosi capitoletti di questo prezioso libricino scritto di suo pugno dal signor Mario Corti. Non c’è niente da pagare, è tutto aggratis, si richiede solo un pizzico di dimestichezza tecnologica e un po’ di spazio virtuale all’interno del proprio apparecchietto elettronico. Ora, però, dal momento che Come siamo andati in serie A va in onda rigorosamente in diretta, non possiamo non avvilupparci mestamente alla stretta e contingente attualità.

Ricapitolando: fino a cinque anni fa eravamo in A, ma poi siamo calati in serie B e, a seguito d’una infida vicenda, nell’agosto duemilaequindici siamo ruzzolati in questo burrone qui denominato C.
L’oggi -accipicchia- dice che per il quarto anno di fila siamo ancora in questa terza serie qua. Ora, dopo tutte e ventisette le partite di calcio giocate, mancano soltanto nove giornate alla fine di questo benedetto campionato e la graduatoria ci vede inchiodati al quarto posto. Ancora di nuovo ricapitolando, quindici sono le gare vinte, sei gli incontri pareggiati e sei le scoppole patite dall’elefante rossazzurro. Cinquantuno sono a tutt’oggi i punti guadagnati in classifica, trentanove le reti realizzate e diciannove quelle subite.

Epperò, poffarbacco, da qualche settimana c’è una profonda divisione tra lo storico club Calcio Catania e tutti i suoi sostenitori in città e nel mondo. Se proprio devo dirla tutta, questa cosa qui della scollatura nacque nel tardo pomeriggio di venerdì ventidue febbraio duemiladiciannove, sarebbe a dire il giorno in cui si venera la Cattedra di San Pietro apostolo, ovvero il trono ligneo che la Chiesa ha riconosciuto come cattedra vescovile di san Pietro apostolo quando fu primo vescovo di Roma e quindi Papa.

Pace e bene!

QUARTO CAPITOLO: LA VALIGIA DI BIAGINI
La valigia di Biagini ha una storia particolare. Si tratta di una valigia in cuoio marrone sulla quale il nostro numero dieci corniciò quasi per scherzo a Venezia, alla prima gara di campionato cioè, a scrivere i risultati delle varie partite. Con una encomiabile metodicità Alvaro alla fine di ogni incontro, dopo che aveva riposto in valigia tutta la sua roba personale, dava di mano ad una biro e scriveva a stampatello, man mano una sotto l'altra, le varie partite ed i loro risultati. Dapprima come succede sempre in ogni cosa del genere, nessuno vi fece caso poi fummo noi stessi a ricordare di volta in volta a Biagini di aggiornare il taccuino delle partite giocate. Quando a Catanzaro incappammo nella nostra prima sconfitta Alvaro disse che non avrebbe più scritto nulla sulla valigia, ma poi tornò sulla sua decisione e continuò fino alla fine del torneo la sua paziente opera di fedele trascrittore del nostro campionato. Praticamente su quella vecchia valigia c'è ora raccontato tutto il nostro faticato cammino verso la promozione.

Di Biagini mi piace ricordare un'altra cosa, e cioè questa: a Taranto, che è stata senza dubbio una tappa essenziale nella nostra marcia verso la Serie A, Alvaro giocò quasi per sbaglio senza sapere che doveva dare un apporto veramente decisivo alla nostra seconda, preziosissima, vittoria esterna di stagione. Quella settimana Biagini aveva detto chiaro e tondo all'allenatore Di Bella di sentirsi stanco e che avrebbe preferito restarsene una domenica fermo per paura di non farcela ad arrivare in condizioni accettabili sino alla fine del campionato. Giocare da mezzala sapete, e fare il lavoro di spola che ha fatto Biagini quest'anno nel Catania non è roba da poco conto; ad un certo punto ci si sente stanchi e non c'è nulla da fare, bisogna riposare una od anche due domeniche. Così il nostro allenatore aveva in mente di fare giocare ad interno sinistro a Taranto il più fresco Caceffo il quale però risentì durante la settimana di una botta ricevuta la domenica precedente e si rese inaspettatamente indisponibile. Per Biagini, allora, fu quasi giocoforza giocare, non poteva tirarsi indietro in una partita come quella di Taranto dove praticamente ci giocavamo in anticipo lo spareggio con la Triestina. Per il Catania avere Biagini in squadra fu davvero una fortuna perché Alvaro disputò sul campo pugliese una delle sue più accorte e generose partite mettendo tra l'altro a segno i due gol che dovevano decidere la gara (il terzo gol rossazzurro lo marcò Prenna, mentre i tarantini riuscirono a battere soltanto due volte Gaspari).
Tomo a dire che la vittoria esterna a Taranto è stata la svolta determinante del nostro campionato: anzitutto ci risollevò in maniera decisiva il morale che era andato inevitabilmente giù dopo i due consecutivi pareggi interni con Modena e Parma, e poi ci diede nuovo vantaggio sulla Triestina che sembrava decisissima a raggiungerei. Bisogna, dunque, che siamo tutti grati al generoso prodigarsi di Biagini (assieme a quello di tutti gli altri miei compagni, s'intende) ed ai suoi due impagabili gol. Da Taranto in poi, infatti, è iniziato il nostro forcing finale che, a parte lo sfortunato episodio della sconfitta all'ultima giornata a Brescia, ci ha portato alla conquista della promozione inseguita per lunghi otto mesi di dure ed a volte addirittura estenuanti fatiche.

QUINTO CAPITOLO: L’AVVENTUROSO RITORNO DA MODENA E PARMA
Un episodio buffo quest'anno è capitato durante il viaggio di ritorno dalla duplice positiva (erano stati due pareggi) trasferta di Modena e Parma. Avevamo preso a Bologna la “Freccia del Sud” che ci avrebbe riportato a casa rammento anzi che eravamo tutti ansiosi di tomare perché avevamo passato il Natale fuori e dovevamo arrivare il 30 dicembre, vale a dire appena un giorno prima dell'ultimo dell'anno. Io non vedevo l'ora di essere a casa perché avevo promesso alla mia piccola Patrizia di farle un bellissimo albero di Natale ed ero già in ritardo rispetto a quasi tutti gli altri papà del mondo. Sulle vetture-letto avevamo dormito saporitamente, stanchi come eravamo della partita del giorno prima, e stavamo ancora a riposare verso le otto del mattino quando Nino Pallotta, il nostro mattiniero massaggiatore, venne a bussare a tutte le porte gridando: «Sveglia ragazzi, tra venti minuti siamo a Villa S. Giovanni e tra due ore siamo a casa!»

Queste sono state davvero le ultime parole famose: meglio che il buon Pallotta non le avesse mai dette! Il treno, infatti, pochi minuti dopo si fermò e non andò più nè avanti nè indietro; ognuno si chiedeva cosa fosse capitato, ma gli stessi ferrovieri che stavano sul treno ne sapevano meno di noi. Dopo circa un'ora ci rimettemmo lentamente in moto per fermarci di nuovo e stavolta definitivamente a Nicotera, una sperduta stazioncina della Calabria distante circa duecento chilometri da quella di Villa S. Giovanni che il nostro Pallotta aveva poco prima preannunciato così vicina.

Era successo che uno scontro ferroviario tra due treni merci aveva bloccato il traffico sulla linea che in quel punto correva su un unico binario e perciò ci toccò di smontare tutti dal treno; comprese tutte le nostre innumerevoli valige personali e di gioco. Era un treno incredibilmente lungo e stipatissimo di viaggiatori in ogni classe: si era, ve l'ho appena detto, sotto le feste di Capodanno e c’era un sacco di gente che veniva a passare la ricorrenza a casa, c’erano centinaia di militari in licenza, insomma ci ritrovammo in almeno duemila persone su quegli stretti marciapiedi della stazioncina calabra certamente impreparata ad accogliere e fronteggiare un tale flusso di viaggiatori. Più tardi venne qualcuno a dirci che la linea non era riattivabile per il momento e che perciò bisognava fare il viaggio fino a Villa a bordo di pullman. Bene, volete sapere quanti pullman c’erano di possibili per le due migliaia almeno di persone che eravamo? Appena tre o quattro e naturalmente erano presi letteralmente d'assalto e non era manco pensabile che noi potessimo starci, ingombri di valigie com'eravamo. Ognuno di noi a Modena aveva anche comprato il tradizionale zambone e ce lo portavamo dietro in certi colorati sacchetti di cartone che ingombravano maledettamente, e ad ognuno di noi veniva voglia di scaraventarlo via.

Per fortuna i dirigenti che viaggiavano con noi si portarono fino in paese e riuscirono a requisire, sanno soltanto loro a quale salatissimo prezzo, un pullman tutto per noi. Alla nostra comitiva si era frattanto aggiunto anche l'arbitro siracusano Lo Bello che tomava dall'aver diretto non rammento quale importante gara di Serie A e che era fresco reduce dalla...boxe con Invernizzi, episodio, quest'ultimo, montatissimo in quei giorni da tutta la stampa sportiva nazionale.

Come Dio volle, dopo avere qua si litigato con un agente di P. S. che voleva requisirci il pullman reperito a così caro prezzo, verso mezzogiorno (dopo circa due ore di sosta forzata) ci rimettemmo in viaggio. Ma le nostre peripezie non erano affatto finite, anzi si può proprio dire che cominciavano proprio allora. Dovete sapere, infatti, che l’autista del pullman era stato in viaggio le due ultime notti e perciò era rimbecillito dal sonno e guidava ad occhi quasi chiusi. Costeggiavamo intanto certi precipizi da far venire i brividi, ad un certo punto superammo un altro autobus che era andato fuori strada rimanendo tragicamente in bilico sull'orlo di un burrone, insomma c’era poco da stare allegri. Ricordo che il più spaventato di tutti (ed a ragione) era Boldi II il quale era seduto proprio accanto all'autista ed era perciò quello che maggiormente si rendeva conto delle minorate condizioni in cui il pullman veniva guidato. Boldi II ci invitava tutti a cantare e cantava a squarciagola lui stesso per tenere sveglio l'autista che comunque ci portò, dopo duecento chilometri di paura, fino all'imbarcadero di Villa S. Giovanni.

Quel viaggio era proprio sfortunato perché trovammo il traghetto che era giusto in partenza sicché una parte di noi riuscì a montarvi sopra, altri invece lo persero e rischiarono di finire in mare nel tentativo di salire all’ultimo momento. Ci raggiunsero col successivo e ci ritrovammo tutti a Messina dove era venuto a prelevarci da Catania un altro pullman.
Pranzammo alle 16 circa a Messina, poi ci rimettemmo in viaggio alle 18 per arrivare finalmente a Catania alle venti circa, con quasi otto ore di ritardo sul previsto.

Quando scendemmo in piazza Giovanni Verga, stanchi e scocciati della lunga avventura fuori programma, ci risuonavano ancora ironicamente nelle orecchie le parole pronunciate al mattino da Nino Pallotta: «Sveglia ragazzi, tra venti minuti siamo a Villa S. Giovanni e tra due ore siamo a casa!»