Acqua o li...Nzola!

Rigoli, scelte incomprensibili...

Rigoli, scelte incomprensibili... 

Max Licari sul disastro di Francavilla. Prestazione e gestione tecnica da dimenticare...

Indifendibili. Indifendibile
Una delle prestazioni storicamente più sconcertanti del Catania. Una partita che, per motivi completamente opposti rispetto a Catania-Catanzaro, rimarrà indelebile nella memoria degli innamorati del Liotru. Dopo Melfi, credetemi, non pensavo fosse umanamente possibile fare peggio. Mi sbagliavo, a Francavilla si è toccato il fondo. Obiettivamente, questa volta nessuno può essere “salvato”, a parte il solito estremo difensore Pisseri, men che meno il tecnico Rigoli.

I tre avverbi
-Si è perso MERITATAMENTE contro una squadra grintosa e volenterosa, guidata da un “marcantonio” di colore che da solo ha letteralmente ridicolizzato i difensori etnei, in un campetto in sintetico che mi ha ricordato le partitelle del mercoledì sera alla Circonvallazione con i colleghi Francesco La Rosa e Daniele Lo Porto a chi sfiatava per primo.

-Si è perso MALAMENTE, giocando in superiorità numerica per più di un’ora senza mai tirare in porta e facendo assurgere lo sconsolato Pisseri (inutili, a fine gara, i suoi incredibili sforzi finalizzati a mantenere inviolata la propria porta) a una sorta di incrocio fra Zamora, Jascin, Gesù di Nazareth e David Copperfield (il mago).

-Si è perso SCONSOLATAMENTE (e ineluttabilmente), fornendo ai più l’impressione di non possedere in panchina le risorse gestionali adatte alle necessità della squadra.

Un atteggiamento non da Catania
Attenzione, la sconfitta incide pochissimo sul giudizio, come non aveva cambiato una virgola il pareggio conseguito a Melfi. Avrei articolato la medesima disamina se, alla fine, il Catania avesse immeritatamente “rubacchiato” (questo il termine “tecnico” più appropriato) il solito punticino che a nulla serve in proiezione di classifica, facendo forse gridare qualcuno alla "lesa maestà" contro Sua Eccellenza "Media Inglese". Un punto, zero punti, conta nulla. Che il Catania sia decimo o nono o undicesimo, al momento, interessa poco. E non potrebbe mai essere il pareggio conquistato nel campetto di calcetto (ho l’impressione che sia il più piccolo d’Italia, il sintetico di Francavilla Fontana) a fare la differenza. Il Catania, non solo non vince in trasferta, ma, a parte per certi versi Foggia (e, in ogni caso, solo per il primo tempo), persiste pervicacemente a inanellare prestazioni inguardabili contro squadre nettamente inferiori. A Francavilla si è raschiato il fondo del barile non tanto per il valore degli avversari (più forti, sicuramente, di Taranto o Reggina – facciamo i complimenti ai simpatici pugliesi), ma per come si era messa la partita: in modo quasi involontario, considerato il solito atteggiamento “conservativo” del Catania (assolutamente “estemporanea” l’azione d’attacco che porta Paolucci a trovarsi solo davanti al portiere di casa), l’espulsione del portiere Casadei aveva fortunatamente messo la partita sui giusti binari; binari che una formazione di rango, con corretta mentalità e consono approccio alla gara, deve indefettibilmente percorrere fino alla vittoria. O, per lo meno, ha l’obbligo di TENTARE di percorrere. Ebbene, faccio fatica a comprendere come una squadra come il Catania non avesse in pratica tirato in porta nei 37’ precedenti all’espulsione; non capisco ASSOLUTAMENTE come nella restante oretta di gioco i rossazzurri non siano riusciti MAI a "inquadrare" i legni avversari, non dico a impensierire seriamente il subentrato Albertazzi! Che il formidabile Nzola abbia realizzato a tempo scaduto il gol della vittoria, dopo che i padroni di casa avevano, in inferiorità numerica, impegnato Pisseri in almeno tre straordinari interventi, mi sembra la logica conclusione di un disastro totale, in panchina e in campo. Una partita senza capo né coda dal primo all’ultimo minuto.

Rigoli: scelte incomprensibili e negativa gestione della gara
Il tecnico della nazionale sudafricana di rugby bicampione del mondo, Alister Coetzee, al termine di quella che può essere considerata la sconfitta più tragica dell’intera storia dei gloriosi “springboks”, l’ormai leggendario 20-18 subito dall’Italia di O’ Shea, ha dichiarato: “Mi rendo conto che questo sia il punto più basso della nostra storia. Abbiamo sbagliato tutto, c’è molto da lavorare. Mi scuso con tutti i nostri tifosi”. Punto. Dopo il disastro di Francavilla Fontana, Rigoli dichiara: “Il Catania aveva iniziato la gara abbastanza bene, stavamo riuscendo anche a fare la nostra partita. Le mie scelte? Logiche. Calil ha fatto una buona partita sotto l’aspetto dell’impegno, così come Bastrini”. Ribadendo che ciascuno commenta e “vede” la partita secondo i suoi canoni, l’impressione è che tecnico da una parte, tifosi e giornalisti dall’altra, abbiano visto due partite antitetiche. Io, per esempio, ho visto un disastro fin dalle scelte iniziali, per poi proseguire con quelle in corsa, per non parlare delle prestazioni individuali, con Calil e Bastrini, in particolare, peggiori in campo.

Domande dolorose
La prima domanda che mi faccio è questa: se tu sai di giocare in un campo in sintetico, stretto e piccolo, contro una squadra che corre a perdifiato e che ha come arma principale il pressing, perché schieri in attacco i tre giocatori atleticamente meno “in palla” della squadra? Perché privarsi dell’unico giocatore in rosa in grado di saltare l’uomo in velocità, il solo in grado di garantirti la speranza di poter giocare tre o quattro situazioni in superiorità numerica, uno che ha dimostrato, anche non giocando benissimo, di avere in canna il colpo risolutore (Catanzaro docet), per di più capocannoniere con cinque reti? Perché, insomma, mettere in campo Calil per Di Grazia, a fianco di altre due punte, Mazzarani e Paolucci, brave tecnicamente, ma programmaticamente di due velocità inferiori rispetto agli avversari? Scelta che a me, e sottolineo “a me”, non pare logica. Semmai autolesionistica, dato che lasci in panca il tuo giocatore migliore. La seconda costituisce un dilemma non meno dilaniante: perché, dopo aver condotto un primo tempo, come di consueto, conservativo, impostato su uno sterile possesso palla, senza mai impensierire il portiere avversario, nel momento in cui ti capita il colpo di fortuna di poter giocare quasi un’ora in superiorità numerica, non ti ripresenti al rientro dagli spogliatoi con almeno un cambio che faccia comprendere al trainer di casa Calabro (complimenti vivi a questo allenatore coraggioso) che ci sarà da soffrire, e non poco? Magari un cambio anche tattico, una difesa a tre, visto che l’avversario gioca in 10 con una sola punta, che ne so, un qualcosa che possa far pensare a una ripresa tutta giocata in pressione. Invece, niente. Stessa squadra, stessa solfa e nemmeno un’azione che minimamente possa far pensare al pericolo, nemmeno un tiro in porta, anche da lontano; solo un blando tic-toc spazzato via dalle ripartenze degli uomini di Calabro e dalle spallate di Nzola, capace di asfaltare letteralmente Bastrini, mai nella possibilità di arginarne le folate.

Cambi tardivi
I cambi, troppo ritardati, una volta che la gara ha preso una determinata piega, difficilmente incidono. Il primo, poi, Barisic per Paolucci (60’), sostanzialmente ruolo per ruolo, non appare comprensibilissimo, dato che lo stesso Michele, pur nell’ambito di una gara non del tutto sufficiente, forse era l’unico dei tre attaccanti a riuscire a mettere in qualche difficoltà Abruzzese e compagni, come accaduto in occasione dell’espulsione di Casadei. Magari, ci saremmo attesi un’uscita di Calil, che non aveva toccato praticamente palla… L’unica sostituzione tattica, fra l’altro, Di Grazia per Bucolo al 75’, ti sbilancia la squadra al punto da beccare ripartenze importanti anche in superiorità numerica (non finalizzate, come detto, solo per gli interventi di San Pisseri), culminate nel gol a tempo scaduto, nato da una palla persa del subentrato Russotto e da una imbucata del neo entrato Biason (questo sì un cambio vincente…), non schermato dallo stesso Di Grazia.

Assenze non decisive
Del resto, non regge nemmeno l’alibi dell’assenza dei due centrali difensivi, perché De Santis non sembra un pivello e lo stesso Bastrini possiede tanta esperienza. Vero, Parisi ha giocato maluccio e non è Djordjevic, ma il suo rendimento non si può dire sia stato inferiore a quello dei compagni. No. Qui si tratta di convinzione, di voglia di vincere, doti che in trasferta latitano clamorosamente, anche in virtù di un atteggiamento tattico sempre troppo simile al tennista dal “braccino corto”. Non è il Catania una squadra che, finora, ha dimostrato di poter imporre a domicilio il proprio gioco, neanche contro avversari di conclamata insipienza. E, siccome, siamo alla settima trasferta, tale trend comincia a diventare assai fastidioso. Due reti in sette partite sono la certificazione di un approccio di squadra non idoneo e di un gioco insufficiente. In definitiva, una trasferta da dimenticare in tutto e per tutto.

Nessuna illusione
L’unico errore che non dovremo commettere è quello di tornare a pensare, magari dopo una vittoria in casa con la Vibonese, prossimo avversario dei rossazzurri, di avere lo squadrone che tutto il mondo tremar fa, allenato dall’erede di Helenio Herrera. Un team vincente lo si testa nella personalità che lascia trasparire durante le gare in trasferta, non quando fa la parte del leone fra le mura amiche, trascinato da un pubblico impagabile, esso sì vero e proprio “fuoriclasse” della categoria. Per adesso, l’impressione iniziale, quella cioè di un reparto d’attacco da rifondare a gennaio, imperniandolo sul “gioiellino” Di Grazia, di un gioco insufficiente agli obiettivi prefissati e di un percorso tecnico non futuribile, permane netta. Sta a giocatori e allenatore smentire coloro che la pensano così, fra cui il sottoscritto, il quale sarebbe ben lieto di cospargersi il capo di cenere. Non sono, tuttavia prestazioni come quelle di Melfi o Francavilla Fontana, o i “palliativi” costituiti dal primo tempo di Foggia, a poter cambiare tale situazione. Let’s go, Liotru, let’s go!!!