Il falso storico del 4-3-3 che "è nel dna del Catania"

Pietro Lo Monaco

Pietro Lo Monaco 

Un excursus sulle tattiche adottate a Catania dagli allenatori che si sono succeduti dal 2005 ad oggi.

A più riprese, nel corso delle ultime conferenze stampa, l'ad del Catania Pietro Lo Monaco ha ribadito un concetto: se si è puntato su Andrea Camplone come tecnico per la prossima stagione, lo si è fatto perché la società sentiva l'esigenza di riappropriarsi, da un punto di vista squisitamente tattico, del "proprio dna", rappresentato dal modulo 4-3-3. Uno schema offensivo e coraggioso che, secondo quanto dichiarato dal direttore, ha sempre contraddistinto i colori rossazzurri negli anni d'oro della massima serie, anche nelle annate in cui gli etnei si sono trovati a lottare per non retrocedere.
Ma è davvero così? Posto che pochissime società, nel mondo, sono riuscite a rimanere fedeli nel tempo ad una filosofia calcistica (si pensi ad Ajax e Barcellona, forgiate dal "calcio totale" predicato da Rinus Michels, successivamente ripreso in modo evoluto da Johann Cruyff prima e - per i soli catalani - Pep Guardiola poi) e che la strada seguita dalla maggior parte dei club è stata quella di assecondare le idee di volta in volta predicate dai propri allenatori, per quanto riguarda il Catania occorre fare un passo indietro (esattamente al 2005) e ripercorrerne l'evoluzione tattica, al fine di valutare la veridicità delle affermazioni del dirigente di Torre Annunziata.

Pasquale Marino, il "pioniere"
Il 4-3-3 è stato instaurato per la prima volta alle falde dell'Etna da Pasquale Marino, nella stagione della promozione in Serie A. Il tecnico marsalese, in realtà, quando arrivò a Catania, era un convinto fautore del 3-4-3, sul quale aveva impostato la propria tesi a Coverciano e col quale si era lanciato, da allenatore, nel professionismo, sulle panchine di Paternò, Foggia e Arezzo. I rossazzurri infatti cominciarono la stagione utilizzando quest'ultimo modulo, con la difesa a 3 composta da Silvestri, Cesar (o Sottil) e Bianco, Lucenti e Zavagno tornanti, Baiocco e uno tra Brevi e Anastasi in mezzo, infine il mitico tridente "DeSpiMas" (De Zerbi-Spinesi-Mascara) in attacco. In questa prima fase Caserta, che mal si adattava a tale impianto, non era titolare e solitamente entrava a gara in corso, quando anche per esigenze di protezione del risultato Marino ripiegava di frequente sul 4-4-2, con centrocampista calabrese schierato a sinistra.
I risultati altalenanti, che ebbero il loro apice negativo nella trasferta di Mantova, indussero il marsalese a studiare un'alternativa per meglio valorizzare la rosa a disposizione. Così, già dalla partita seguente col Bologna, ecco l'idea dalla quale partì la cavalcata verso la Serie A: fuori un esterno (Lucenti), dentro una mezzala (Caserta), con Zavagno abbassato sulla linea difensiva (e Silvestri, allo stesso tempo, allargato sulla destra), per comporre un 4-3-3 basato su un perno centrale che aveva principalmente il compito di randellare e recuperare palloni (Anastasi, nel girone d'andata; poi Biso, che innalzò il tasso tecnico nel girone di ritorno) e due mezzali di corsa e tecnica (Baiocco e Caserta), in grado di innescare la fantasia e il peso specifico del tridente offensivo.
Questo canovaccio fu mantenuto da Marino in massima serie, con l'integrazione dei nuovi arrivi (i vari Stovini, Vargas, Edusei, Colucci e Corona) e stupì effettivamente sia i tifosi che gli addetti ai lavori per la mentalità offensiva messa in campo contro qualunque avversario, anche contro le squadre più blasonate, che garantì un buon bottino in termini di gol e spettacolo, ma allo stesso tempo cagionò serie magagne difensive, con i rossazzurri che chiusero al penultimo posto nella speciale classifica delle migliori difese (con ben 68 gol subiti).

Pasquale Marino 



Con Baldini e Mihajlovic versioni "sfumate", Montella unico erede
Dall'anno successivo all'addio di Marino, però, a differenza di quanto sostenuto dal direttore, comincia una storia diversa. Il 4-3-3 basato sul bel gioco e sulla spregiudicatezza si rivedrà a Catania, infatti, soltanto nella stagione 2011/12, con Vincenzo Montella sulla panchina etnea. Per il resto, tutti gli altri tecnici succedutisi hanno adottato moduli diversi, oppure hanno ripiegato su soluzioni più "abbottonate".
Paradigmatica, in quest'ultimo senso, è stata l'esperienza Baldini. Il toscano, che pure iniziò il campionato provando il proprio amato 4-2-3-1, in corso d'opera si convertì al 4-3-3, ma si trattava di una versione decisamente difensivista, soprattutto nelle gare in trasferta, laddove Martinez e Mascara partivano quasi sulla linea di centrocampo, dando forma ad un 4-5-1 molto attendista, che suscitò diverse critiche ed un rendimento offensivo deficitario, con il secondo peggior attacco del campionato e con Spinesi e Mascara fortemente penalizzati. Lo stesso Walter Zenga, subentrato in corsa, si affidò un 4-1-4-1 che si affidava perlopiù alle potenzialità tecniche ed offensive di Vargas, utilizzato come terzino da Baldini ed all'uopo spostato a centrocampo dall'Uomo Ragno.
Zenga, poi, condusse gli etnei ad un'annata soddisfacente nel 2008/09, caratterizzata da un'intuizione tattica che fece finalmente esplodere anche in Serie A tutto il talento di Peppe Mascara: quella di schierare "Topolinik" da rifinitore, dietro le punte, in un 4-3-1-2. In tal modo il fantasista calatino sfruttò il lavoro sporco degli attaccanti timbrando più volte il cartellino e affermandosi anche in qualità di assist-man. Nella fase centrale di quella stagione, tra l'altro, il Catania giocò diverse volte col 3-5-2.
Il 4-3-3 ritornò in pompa magna con l'avvento di Atzori, che però fu protagonista di un girone d'andata da incubo, poi raddrizzato dalla scossa data da Sinisa Mihajlovic. Anche il serbo non si discostò molto dall'idea di base, ma l'utilizzo di Ricchiuti (uno che per gran parte della sua carriera ha giocato come seconda punta) nel ruolo di mezzala, coi continui inserimenti sulla trequarti dell'argentino, trasformava nella pratica questo modulo in un 4-2-3-1.
Chi invece si allontanò completamente dai canoni fu Marco Giampaolo, che alternò il 4-3-1-2 (o 4-3-2-1, a seconda dei casi) utilizzato tra le mura amiche con il più prudente 4-1-4-1 scelto in trasferta, con prestazioni fortemente orientate in chiave difensivista. Il passaggio di consegne con Simeone portò una svolta sul piano della propensione, con una squadra aggressiva e sbilanciata in avanti, ma anche il Cholo non si adeguò alla prassi e puntò su un 4-2-3-1 con un centrocampo di rottura (Ledesma-Carboni, con Lodi che partiva spesso e volentieri dalla panchina) ed una trequarti in cui Bergessio veniva chiamato a sacrificarsi sulla fascia, per coesistere con la prima donna Maxi Lopez.
Come dicevamo in premessa, servì "l'aeroplanino" per far tornare di moda il 4-3-3 a connotazione offensiva alle pendici dell'Etna, sebbene nel girone d'andata i ragazzi di Montella furono protagonisti di un filotto di risultati utili ottenuto col 3-5-2, che valorizzava in particolare le qualità di Mariano Izco, schierato da tornante destro (mentre dall'altro lato si affermò Marchese).

Vincenzo Montella 



Gli ultimi anni
La storia si interrompe necessariamente qui perché il 2012 fu l'anno della rottura tra Pulvirenti e Lo Monaco, anche se il 4-3-3 continuò ad essere protagonista in positivo grazie all'opera di Rolando Maran.
Dal 2016, anno del ritorno dell'attuale ad, a diversi tecnici è stato affidato il compito di risollevare le sorti della squadra dell'Elefante. Il primo di essi, Pino Rigoli, proprio col 4-3-3 aveva condotto ad una convincente salvezza l'Akragas l'anno prima. A Catania, però, si è trovato ad allenare una squadra incompleta, con giocatori acerbi o adattati in diverse zone del campo (terzino destro, mezzala) e con Scoppa, scommessa persa nel decisivo ruolo di playmaker. A ciò si è aggiunto un atteggiamento tattico più portato a privilegiare la fase difensiva, che non è andato a genio alla piazza.
L'anno dopo ci ha riprovato Lucarelli, fautore del 3-5-2, modulo sulla base del quale è stato condotto il mercato, azzoppato però dal flop Semenzato e dalla querelle Da Silva che ha privato il livornese di un giocatore chiave per il suo impianto di gioco. Il tecnico ha alternato per tutta la stagione il proprio schema preferito ad un redivivo 4-3-3, ottenendo strisce lusinghiere, rovinate da alcune battute a vuoto.
Da ultimo, abbiamo assistito all'esperienza Sottil (alternata a quella di Novellino), con un allenatore amante del 4-2-3-1 al quale non sono stati affidati i giocatori necessari per esprimere le proprie idee, con la relativa confusione tattica che ne è scaturita per tutta la stagione ed ha coinvolto pure il suo temporaneo successore.

La lunga disamina ci consente di trarre due conclusioni: la prima è che, in verità, il 4-3-3, pur essendo stato nel complesso il modulo più utilizzato dagli allenatori che si sono succeduti durante le due gestioni Lo Monaco, non può essere considerato alla stregua di vero e proprio elemento genetico del club, dal quale non è possibile prescindere. La seconda è che, più che il modulo in sé, contano gli interpreti affidati all'allenatore di turno, al fine di valorizzare al meglio le risorse a disposizione ed aumentare quindi le possibilità di successo.