#70CATANIA - Un racconto elefantesco: parte sesta

Il barrito do Liotru, a casa sua...

Il barrito do Liotru, a casa sua... 

Prosegue il racconto della storia del Calcio Catania 1946 direttamente dalle parole...del Liotru

“Svegliati Liotru, svegliati! È da quasi sette mesi che dormi profondamente, non ti sembra di esagerare?”. Avvilito, ormai quasi senza speranze, provo in tutti i modi a scuotere dal torpore quel pachiderma di settant’anni piombato in un insolito letargo di oltre mezzo anno, una cosa mai vista per la sua specie. Da guinnes dei primati, non c’è che dire. Il peso dell’infinito e continuo banchettare lungo la via – che da Piazza Duomo ci aveva ormai portato nel cuore dei Giardini Bellini, ‘A Villa’ – aveva prodotto questi effetti devastanti: sonno profondissimo e seconda parte di stagione da dimenticare! D’un tratto, sotto il cocente sole di Luglio, le mie preghiere furono esaudite. L’ Elefante cominciò lentamente a muoversi, abbassamatu come non mai. Senza fretta, tanto ormai il campionato è finito da un pezzo. La proboscide verso il cielo, un barrito così squillante da mandare in pensione tutti i galli che ogni mattina fanno ancora il proprio dovere. “Aaaah, chi bella panzata di sonnu ca mi fici! Mi sentu n’autru tantu!”. Era ora, finalmente u Liotru è tornato!

Di slancio, a passo assai spedito, ci dirigiamo verso l’uscita della Villa Bellini, quella che porta in Piazza Roma proprio davanti alla statua di Umberto I di Savoia. “Umbbbetto cuii? Chiddu è u re a cavallo! A Catania u sapemu sentiri accussì e bonu cchiù!” – puntualizza l’Elefante. Mi distraggo un attimo e lo trovo già con la proboscide che avvinghia un intero secchiello di frappé alla nutella, con panna montata e caramello. Sempre lui è, non cambia mai. Fortunatamente, però, non decide di sedersi, e così proseguiamo la nostra marcia lungo Viale Regina Margherita. In lontananza, sulla destra, scorgo un luogo a me assai caro: l’Istituto Tecnico Industriale “Archimede”. Sospinto dai ricordi generati da quella visione mi lascio andare, forse per la prima volta, come un fiume in piena: “Per sei anni è stata la mia scuola: quanti ricordi, quante calie! Il primo anno fu nel 1998-99 quello della memorab…”. Senza preavviso la voce del Liotro interrompe il mio discorso, da buon giornalista lascio spazio all’intervistato tenendo per me i miei ricordi sicuramente meno interessanti rispetto ai suoi. “Bifera, Furlanetto, Di Dio, Monaco, Brutto, Marziano – con una memoria di ferro li ricorda tutti – Tarantino, Passiatore, Lugnan, Piero Cucchi… Cicchetti cross con il sinistro, colpo di testa di Roberto Manca…goooool!!! Acchiappa, buddaci!”
“Dai, Liotru…non si dice…”.
“E perché mai? – controbatte con decisione il pachiderma – i messinesi ne vanno fieri: ne hanno fatto una canzone e anche un marchio che li identifica nel mondo. Quindi, non c’è offesa”.

Tra un aneddoto e un altro, tra un ritiro a Monte Po’ e le maglie prestate dai tifosi nella partita del “Celeste”, arriviamo dinnanzi alla cattedrale del calcio catanese: il ‘vecchio’ stadio Cibali. Alla lettura del nome di Angelo Massimino, impresso a caratteri cubitali, il volto del pachiderma diventa serissimo. Dopo qualche minuto di religiosissimo silenzio, come in venerazione, riprende il suo discorso: “Ho sempre amato il Cavaliere, solo che in vita non gliel’ho mai dimostrato pienamente, anzi… ho tanti rimorsi. Non passa giorno in cui non penso a lui. Quando morì, il 4 marzo 1996, tra queste mura venne allestita la camera ardente. Questa era, è e sarà sempre casa sua. Quanto vorrei che venisse ripristinato quel Memorial a lui dedicato. Da ormai tredici anni non si disputa più, chissà perché…”.

Sul tappeto verde di casa... 



Gli anni novanta del pallone rossazzurro sono pieni di colpi di scena a ripetizione, con lotte cittadine e battaglie al Palazzo. Quell’Angelo ‘costretto’ ad andar via nell’ottobre 1987 ritornò nel 1992 per salvare la matricola 11700 da una fine quasi certa: “Annunca! ’U bonammuzza tunnau ndo mumentu giustu! Nel corso dei miei settant’anni hanno provato ad eliminarmi più volte – sottolinea fiero l’Elefante –, nel 1993, in un luglio caldissimo come quello che viviamo adesso, un dirigente dall’accento di Bari mi spedì senza pensarci due volte in Eccellenza. I palazzi del potere, quelli catanesi, invece di sostenermi, diedero fiducia ad una nuova creatura, dalle sembianze camaleontiche. Un elefanticchio arribbattuto dai colori simili ai miei che finì per diventare un cirneco giallo-grigio…”.

L’odore del prato verde è sempre più forte e per noi amanti del pallone è un richiamo al quale non si può dire di no. Mi siedo dietro la porta sita sotto la Curva Sud, quella dove si segnano i gol pesanti, osservando u Liotru che con i suoi racconti colora e popola gli spalti vuoti del vecchio impianto: “Co’ Gravina mi ficiunu jucari… Rosolini, Pachino e macari Misterbianco! Ho sofferto, ma mi sono sempre rialzato, aiutato dal mio zoccolo duro che non ha mai smesso di essere quelli del 46nuatri semu sempri ccà, u stadiu sutta a ‘sta muntagna. Catania fammi ‘mpazziri e wunchila ‘sta ritiii!!!”


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